Polemiche
“Bamboccioni”? Al tempo...
Il Corriere ha ripreso alcuni dati inediti del "Rapporto Giovani 2008", prodotto dal Dipartimento di Studi sociali, economici, attuariali e demografici della Sapienza di Roma per conto del Ministero della Gioventù. Vediamoli insieme.
Nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni, su 3 milioni circa di adolescenti ci sono 270 mila ragazzi che non studiano e non lavorano (il 9%); 50 mila ragazzi ( l’1,6%) che di necessità hanno fatto “virtù”: al momento non cercano lavoro ; 11 mila invece non sono interessati a lavorare o studiare neppure in futuro. Si registra una analoga tendenza tra i giovani dai 25 ai 35 anni, (in totale 8 milioni): un milione e novecentomila non studiano e non lavorano; circa uno su quattro (meno del 24%). Un milione e 200 mila (circa il 15%) gravitano nella sfera della disoccupazione per ragioni varie, in particolare scoraggiamento. Mentre settecentomila (l’8,75 %) sono “inattivi convinti”: non cercano un lavoro e non sono disposti a cercarlo in futuro.
Ora, per la fascia di età tra i 15 e 19, viste le basse percentuali di inattivi per convenienza e/o scelta (anche per il futuro), non è possibile rilevare alcuna tendenza precisa verso una “società del non lavoro”. Tuttavia una tendenza va registrata: che la “disaffezione” al lavoro tende ad aumentare con l’età. E tocca punte relativamente più alte tra i 25 e i 35 anni. "Relativamente" perché gli “inattivi convinti”, all'interno di quest'ultima fascia, non sono tanti: poco meno di 1 su 10 .
Pertanto per la fascia tra i 15 e i 19 anni siamo al di sotto della soglia di rilevanza sociologica. Mentre per la fascia tra i 25 e i 35 anni sarebbe interessante capire le ragioni di quei 700 mila giovani che rifiutano il lavoro, come dire “ideologicamente”. Sarebbe utile conoscerne i titoli di studio, la preparazione culturale l’estrazione familiare e sociale, l’area di residenza e la precedente carriera lavorativa (se vi è stata). Perché, per dirla fuori dai denti, la storia dei “bamboccioni”, sponsorizzata tra le righe dal Corriere della Sera , sembra non avere alcun fondamento analitico ed empirico.
Anche perché se la scelta del giovane è ideologica, e
dunque culturale, non può rinviare, almeno direttamente, a convenienze di tipo
economico legate a genitori premurosi e danarosi che si tengono i figli
ultramaggiorenni in casa... Di qui la necessità di giovarsi, prima di trinciare
superficiali giudizi sulle tendenze in atto, di una migliore e più sicura base
concettuale e osservativa.
In realtà, la retorica giornalistica sui “bamboccioni” mostra di essere
soltanto il velo che una società, incapace di motivare realmente i giovani
creando “veri” posti di lavoro, stende sulla propria ipocrisia.
Carlo Gambescia
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