Il libro della settimana: Gianfranco
Miglio, La
controversia sui limiti del commercio neutrale fra Giovanni Maria Lampredi e
Ferdinando Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Nino Aragno Editore, Torino 2009,
pp. XL-262, euro 13,00 -
www.ninoaragnoeditore.it |
“Professore universitario e Senatore della Repubblica, un uomo libero e grande”. Queste parole sono incise sulla lapide della tomba di Gianfranco Miglio, scomparso nel 2001. Si tratta di informazioni riportate sulla bandella di controcopertina di un interessante volume, ancora fresco di stampa, di Gianfranco Miglio, tra l'altro dalla elegantissima veste grafica: La controversia sui limiti del commercio neutrale fra Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando Galiani (Nino Aragno Editore, Torino 2009, pp. XL-262, euro 13,00). Nota non secondaria: il testo è brillantemente prefato da Lorenzo Ornaghi, allievo prediletto di Miglio.
Il titolo può non invogliare il lettore distratto, perché apparentemente rinvia a una remota polemica settecentesca, in punta di diritto internazionale, alla quale Miglio dedicò il suo primo volume nel 1942, stimolato dal professor Balladore Palmieri. In realtà, come nota dottamente Ornaghi, il volume è ancora attualissimo perché pone il problema, tutto moderno, del rapporto tra diritto e politica, ma anche, aggiungeremmo, tra morale e politica. Tematiche che già avevano avevano attratto il giovane Miglio, futuro maestro di realismo politico, nonché acuto studioso di Carl Schmitt.
Per un verso Miglio scrive questo libro perché interessato al diritto di commercio navale tra paesi neutrali e paesi belligeranti. Ma per l’altro, perché attratto da quel che allora stava accadendo (1940), tra gli Stati Uniti, ancora neutrali, ma disposti a commerciare con tutti, incluse Inghilterra e Germania in guerra tra loro, e purché le merci, una volta saldati i conti, venissero ritirate direttamente nei porti americani. Il che, di fatto, privilegiava
Ma ascoltiamolo: in quel mondo in guerra,
.
“io mi ero accorto che alla fine del
secolo decimottavo (in occasione dell’intervento della Francia e Spagna nella
guerra fra l’Inghilterra e le sue antiche colonie nord-americane), l’adozione
di questa regola aveva dato luogo già ad una elegante e dotta polemica fra il
poligrafo Abate Galiani (che l’avversava) e il giurista toscano Giovanni Maria
Lampredi (che la difendeva). Balladore pensava che la ricostruzione di questa
controversia, sullo sfondo delle dottrine relative al commercio delle potenze
neutrali, avesse un sapore di attualità, e, anche dopo l’entrata in guerra
degli Stati Uniti, interessasse gli Stati dell’America meridionale rimasti
estranei al conflitto. Perciò mi incoraggiò a scrivere il libro, e lo fece
pubblicare dal milanese “Istituto per gli Studi di politica internazionale
(ISPI), di cui era patrono” (p. VII).
.
.
Tradotto: Miglio, già in odore di realismo, mostra di
preferire le tesi di Giovanni Maria Lampredi. Perché, a suo avviso, il giurista
toscano scorge per primo il moderno utile dello stato, come dovere verso se
stesso, inclusivo del diritto a commerciare con tutti. A differenza dell'Abate
Galiani, che invece appellandosi a un superiore principio di "solidarietà
passiva" a sfondo pacifista (un dovere verso gli altri da recepire e
giuridicizzare statualmente) si oppone a tale "Utile di Stato",
riconducendo così la politica nell'alveo del diritto e anche della morale.
Perciò sotto questo aspetto la polemica tra Lampredi e Galiani verte su un
punto fondamentale, tuttora molto discusso: viene prima l'utile dello stato o
quello della comunità internazionale?
Ma c'è dell'altro: Miglio, senza fare sconti neppure a Lampredi, scorge nella “realizzazione del maggior benessere”, attraverso l'autonomia politica ed economica dello stato anche in ambito commerciale, quel prolungamento del diritto naturale, sganciato da qualsiasi trascendenza, che conduce al primato di una concezione sempre più mercantile-aziendalista ed economicista dell’individuo come dello stato. Perciò, come già si capisce, la controversia tra Galiani e Lampredi, racchiude come in un microcosmo, la successiva macrostoria dell’Otto-Novecento, che vede - semplificando - prima il dominio della politica sul diritto, e poi dell’economia sulla politica… Un economicismo, oggi chiamato "globalizzazione", che pende, come la famosa spada di Damocle, sulle nostre teste.
Naturalmente abbiamo semplificato, forse troppo, un libro ricco di osservazioni, intuizioni e spunti in relazione, ad esempio, alle radici storiche dei rapporti tra stato e mercato. Ma anche utile per la ricostruzione del pensiero di Miglio e dei suoi percorsi di ricerca, solo apparentemente lontani (dal diritto internazionale alla scienza politica, passando per le dottrine politiche, la storia delle istituzioni e la scienza dell’amministrazione).
Inoltre chi si avvicini per la prima alla volta all’opera “di un uomo libero e grande” rimarrà sbalordito dalla dottrina e dal rigore posseduti da un giovane all’epoca appena venticinquenne. Mentre chi già apprezza Gianfranco Miglio, non potrà non riconoscere nel giovane ma già vigoroso albero, i segni di quella che può essere oggi definita una quercia della scienza politica, non solo italiana.
Ma c'è dell'altro: Miglio, senza fare sconti neppure a Lampredi, scorge nella “realizzazione del maggior benessere”, attraverso l'autonomia politica ed economica dello stato anche in ambito commerciale, quel prolungamento del diritto naturale, sganciato da qualsiasi trascendenza, che conduce al primato di una concezione sempre più mercantile-aziendalista ed economicista dell’individuo come dello stato. Perciò, come già si capisce, la controversia tra Galiani e Lampredi, racchiude come in un microcosmo, la successiva macrostoria dell’Otto-Novecento, che vede - semplificando - prima il dominio della politica sul diritto, e poi dell’economia sulla politica… Un economicismo, oggi chiamato "globalizzazione", che pende, come la famosa spada di Damocle, sulle nostre teste.
Naturalmente abbiamo semplificato, forse troppo, un libro ricco di osservazioni, intuizioni e spunti in relazione, ad esempio, alle radici storiche dei rapporti tra stato e mercato. Ma anche utile per la ricostruzione del pensiero di Miglio e dei suoi percorsi di ricerca, solo apparentemente lontani (dal diritto internazionale alla scienza politica, passando per le dottrine politiche, la storia delle istituzioni e la scienza dell’amministrazione).
Inoltre chi si avvicini per la prima alla volta all’opera “di un uomo libero e grande” rimarrà sbalordito dalla dottrina e dal rigore posseduti da un giovane all’epoca appena venticinquenne. Mentre chi già apprezza Gianfranco Miglio, non potrà non riconoscere nel giovane ma già vigoroso albero, i segni di quella che può essere oggi definita una quercia della scienza politica, non solo italiana.
E di quelle secolari.
Carlo Gambescia
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