Un articolo di Geminello Alvi
Non solo rendite...
Geminello Alvi (nella foto) sul "Corriere Economia" di ieri
ha nuovamente proposto di "privatizzare" e "tagliare pensioni e
statali". Alvi è un acceso nemico delle rendite ( frutto, a suo avviso, di
affitti, pensioni, stipendi statali, titoli pubblici). Come, del resto, risulta
anche dal suo ultimo libro Una Repubblica fondata sulle rendite
(Mondadori) dove mostra come le rendite italiane corrispondano al 30,6 % del
reddito disponibile netto per famiglia e come invece il lavoro dipendente
produttivo sia al 26%. Anche D'Alema lo è, ma vuole tassarle. La riflessione di
Alvi parte proprio dalla tesi dalemiana, che cita, del colpire "là dove si
è accumulata la ricchezza prodotta dalla rendita a scapito spesso di lavoro e
imprese che dovrebbero essere alleate".
Alvi propone una politica liberista, (meno tasse, meno
tutele, più mercato), D'Alema (ma in genere anche il centrosinistra) ipotizza
invece una politica riformista (più tasse, più investimenti). Alvi teme che le
nuove tasse possano invece andare a gonfiare proprio le rendite (sotto forma di
finanziamento occulto delle pensioni e degli stipendi degli statali). D'Alema,
o chi lo consiglia, ritiene invece che le tasse su case, titoli privati e
pubblici) possano rilanciare gli investimenti, persuadendo chi specula sulle
rendite, a privilegiare gli investimenti produttivi.
Chi ha ragione?
In primo luogo le rendite esistono. E qui è nel giusto
Alvi. Ma bisogna distinguere. E' vero che il patrimonio medio per famiglia -
secondo i suoi calcoli, che diamo per buoni - è elevato (321 mila euro, tra
casa e titoli). Ma qui bisogna tenere conto (del balzo in avanti dei valori
immobiliari negli ultimi anni e che nei due terzi dei casi si tratta della casa
di abitazione). Anche sulle pensioni, se è vero che l'età media dei pensionati
italiani è piuttosto bassa (cinquant'anni), è anche vero che stiamo pagando gli
errori di politica sociale ( le famigerate "babypensioni") concesse
dai governi democristiani e di centrosinistra. Il ciclo però si è ormai
concluso e l'età dei pensionati è destinata ad aumentare. Non le pensioni però.
E questo è un bel problema sociale (per il futuro), sul quale Alvi sorvola.
Quanto ai possessori di titoli pubblici, cone Alvi ben sa, si tratta di
minoranze sociali.
In secondo luogo, è vero che occorrerebbe un "nuovo
patto tra produttori". E qui D'Alema non ha del tutto torto. Ma il punto è
che i produttori andrebbero "pescati" tra le piccole e medio-piccole
imprese dove il ruolo del sindacato è residuale. E di conseguenza un
"patto", implicherebbe una "sindacalizzazione",
particolarmente invisa alle microimprese... Quanto alle grandi imprese, che
brillano per egoismo, il patto proposto da D'Alema, si risolverebbe nella
divisione di benefici e privilegi, a danno però dei più deboli: le piccole
imprese. Quanto al sindacato, va rilevato che sta perdendo rappresentatività
(come mostra il crescente calo di iscrizioni). Di qui scarsa autorevolezza,
incapacità di rinnovarsi, e soprattutto mancanza di visione. Conta invece
ancora troppo, è qui Alvi ha ragione, nel mondo del pubblico impiego. Dove
andebbe ridimensionato...
Perciò sono entrambi fuori strada: Alvi enfatizza le
rendite (che sono frutto di equilibri più complessi), D'Alema il "patto
tra produttori" (che esiste solo nell'immaginario, forse
criptoberlingueriano, dei suoi consiglieri economici).
Invece i veri problemi sono tre. Quello di introdurre una
legge antimonopolistica, ferrea, in grado di liberalizzare sul serio i mercati,
per poi "privatizzare", e coi proventi ridurre il debito pubblico.
Quello di riformare seriamente la pubblica ammistrazione, e non semplicemente
di "licenziare". Quello infine di concentrare, ma davvero, gli
investimenti pubblici nei settori delle ricerca e delle infrastrutture
economiche (si pensi solo al settore delle fonti di energia alternative...).
In questo senso continuare a parlare di rendite e di
patti non serve assolutamente a nulla. Anzi distoglie dal perseguire
politicamente, e con decisione, la soluzione dei veri problemi.
Carlo Gambescia
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