Sanità
Il vero problema: l'area grigia
pubblico-privato
Se il referendum, che si terrà domenica e lunedì,
confermasse le riforme costituzionali varate dal centrodestra, potremmo tutti
ritrovarci, in un futuro neppure lontano, con tante sanità regionali diverse.
Il che rappresenta un rischio per tutti i cittadini. Perché?
In primo luogo, perché se vincesse il sì, alcune regioni,
potrebbero favorire certe prestazioni e altre no. Inoltre, potrebbero essere
esclusi da alcuni servizi i cittadini non "non residenti" nella
regione. E il diritto alla salute è invece un importantissimo diritto sociale,
sancito costituzionalmente (articolo 32).
In secondo luogo, perché le regioni con minori risorse e
strutture (ad esempio quelle del Sud) verrebbero penalizzate, e sarebbero
comunque costrette a fornire alcune prestazione specialistiche, infittendo i
rapporti, quelli in regime di convenzione, con le imprese private.
Però non basta dire " no, noi questa riforma non la
vogliamo". C'è un altro problema. Qual è il vero nodo da sciogliere, a
proposito della sanità italiana? Il problema sempre eluso, fin dall'
istituzione del servizio sanitario nazionale, avvenuta alla fine degli anni
Settanta?
E' quello dell'esistenza della cosiddetta "area
grigia", dove confluiscono le prestazioni sanitarie pubbliche
"erogate" da privati "autorizzati". Il cosiddetto regime
dell'assistenza in convenzione. Ora, è qui inutile citare dati (si tratta di
cifre da capogiro, che finiscono nelle tasche di privati...). Basti dire tre
cose.
La prima è che una caratteristica esclusivamente
italiana.
La seconda, ancora più grave, è che fonte di corruzione,
come stanno mostrando, per l'ennesima volta, gli scandali questi giorni.
La terza è che se tutti i governi dal 1978 (anno in cui
venne varata la legge di riforma sanitaria), hanno lasciato che l'erba velenosa
della "connivenza pubblico-privato" crescesse senza trovare ostacoli,
una ragione ci sarà pure stata? E ci sarà? Visto che anche l'attuale governo di
centrosinistra, sul punto, nicchia...
La risposta è semplice. Gli studi mostrano che nelle
democrazie contemporanee la corruzione aumenta in quelle aree economiche
semiprivate o semipubbliche, dove pubblico (i partiti) e privato (le imprese
lobbiste) vengono a contatto. Che cosa succede? Nasce una specie di
"secondo mercato", ovviamente illecito, dove dal lato dell'offerta, i
"politici" mettono in vendita, permessi, licenze, appalti e
liquidazioni di pagamento, che dall'altro lato, quello della domanda, le
imprese private (i lobbisti insomma), sono del resto desiderose di
"acquistare", e in misura crescente. E così, come avviene nella
sanità italiana, la corruzione autoalimentata dal regime delle convenzioni tra
pubblico-provato diventa per i politici una fonte di finanziamento e per i
lobbisti una forma di investimento. Non solo: come insegna la sociologia della
corruzione, la rete "corruttiva" crea un sistema di complicità
sotterranee basato su scambi di favori, che non giova assolutamente al buon
svolgimento, in termini di controlli, di un servizio semipubblico o
semiprivato.
Perciò il vero nodo da sciogliere, non è tanto (o
comunque solo) quello di evitare la frammentazione "federalistica"
della sanità "nazionale". Ma innanzitutto di bonificarla. Come?
Facendo una scelta secca. O pubblico o privato. E comunque sia, cominciare a investire
in conto capitale. Il punto è quello di creare stutture sanitarie efficienti su
tutto il territorio nazionale. Che lo faccia il pubblico o il privato è
questione di scelte o gusti (ideologici) personali. L'essenziale è impedire che
pubblico e privato continuino a fingere di farlo insieme... Perché la radice di ogni corruzione italiana si annida
proprio lì.
Carlo Gambescia
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