Che fine ha fatto il progetto
Google di una biblioteca
universale on line?.
Certo siamo tutti (o quasi) ospiti di Google. E di questo siamo grati. Ma non possiamo fare
sconti. Ergo: subito qualche riflessione in argomento.
Una biblioteca può essere un luogo misterioso, ricco di significati nascosti,
dove si possono fare buoni e cattivi incontri o perfino smarrirsi. A loro volta
i libri, come ci ha insegnato Borges, pur avendo vita e propria, spesso
interferiscono, seguendo vie invisibili con quelle degli uomini. Se poi dietro
questa Babele di significati, rinvii simbolici, genealogie culturali vi sia un
ordine o un disegno generale è cosa molto difficile da scoprire e imporre. Ogni
libro, come ogni individuo, è unico, come sono uniche le reazioni di ogni
lettore. E dal momento che ogni lettore non può avere letto gli stessi libri,
ogni libro letto in più o in meno può fare la differenza: può cambiare la
prospettiva individuale di lettura verso lo stesso libro, magari letto insieme
a centinaia di migliaia di persone. Ogni lettore ne può dare insomma una
valutazione personale, proprio in base ai libri letti.
In primo luogo, si può definire come un tentativo di mettere ordine, troppo
ordine, nella Babele degli intriganti significati, veicolati dai libri. Stando
alle notizie di stampa, apparse sui giornali circa un anno fa, Google dovrebbe
acquisire circa 16 milioni di volumi. Ma chi li sceglierà? E con quali criteri?
Si darà particolare importanza al “Canone Occidentale“? Oppure alle altre
tradizioni? Il numero dei volumi da acquisire può apparire enorme, ma in realtà
non è così. Si dovranno fare delle scelte. E le scelte implicano gerarchie (in
tutti in sensi). Di riflesso a rimetterci saranno le culture “minori” e non
occidentali. L’ “ordine”, di regola, riduce la complessità, ma causa
impoverimento.
In secondo luogo, l’impoverimento dei significati porta inevitabilmente con sé,
l’indebolimento della cultura individuale. Ad esempio, in futuro un libro che
non sarà su internet potrà essere ritenuto non indispensabile, e quindi non
degno di essere letto o comunque difficile da reperire. Di qui quella
pericolosa uniformità di prospettive che finisce per accomunare tutte le
persone che leggono, e solo, gli stessi libri. Sembra impossibile che tutti
riescano a leggere 16 milioni di libri on line. Giusto, ma non è
invece impossibile, che una volta divisi per discipline, materie e generi,
interessi, i testi “disponibili” possano ridursi di numero e quindi essere più
o meno gli stessi.
In terzo luogo, il meccanismo del libro on-line può diventare uno strumento di
controllo e filtro di tutto quello che verrà successivamente pubblicato: sia
riguardo ai canoni culturali predominanti, sia riguardo alle scelte politiche.
Inoltre, dal momento che per un libro ( e quindi per editori e autori), essere
su internet sarebbe di per sé motivo di distinzione, potrebbero verificarsi
forme di autocensura e di conformismo verso gli stereotipi dominanti. E non
andrebbe neanche esclusa la nascita di un mercato degli accessi a internet, con
le conseguenti guerre di mercato, prove di forza, cartelli, casi di corruzione,
eccetera.
In quarto e ultimo luogo, la “biblioteca” on line può accentuare quel
processo di trasformazione in museo (o sede di “eventi”) della biblioteca
tradizionale, che rischia così di restare appannaggio di elitari gruppi di
studiosi: gli ultimi e fortunati abitanti di Babele. In questo modo però la
separazione tra togati e popolo on line consacrerebbe il fallimento
dell’intero progetto moderno di massima diffusione dell’alta cultura.
Alcuni commentatori, probabilmente per nobilitarlo, hanno paragonato il
progetto Google a quello messo in atto dai monaci medievali, che rinchiusi nei
monasteri, ricopiarono e ci trasmisero le grandi opere dell’antichità greca e
romana. Molto edificante. Ma siamo poi così sicuri che i pii monaci ricopiarono
tutto? Per scoprirlo bisogna andare in biblioteca… Ed è meglio affrettarsi.
Carlo Gambescia
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