Se Giulio Tremonti non avesse ubriacato di parole due uomini politici importanti come Bossi e Berlusconi, oggi sarebbe un guru minore, un poveraccio del mondo delle idee, con un sito su YouTube, per indottrinare, profetizzando la fine economica del mondo, un gruppo di adepti, complottisti, “incazzati”, stanchi di tutto. Insomma, Tremonti oggi sarebbe una specie di piccolo mito per i falliti della vita.
E invece, la potente Giorgia Meloni – inutile negarlo – lo ha cooptato nelle liste di Fratelli d’Italia. Non solo: si vocifera che dopo le elezioni vittoriose si rischia addirittura di veder tornare Tremonti all’Economia. Sarebbe una catastrofe. Negli anni Dieci del Terzo Millennio (per usare la magniloquenza tremontiana) fu il pupillo economico di Berlusconi fino all’ingloriosa caduta del Cavaliere nel 2011. Intanto, il debito pubblico (inclusivo degli interessi sui famigerati Tremonti bond) era schizzato alle stelle.
Tremonti di liberale non ha nulla. Il suo concetto di economia è un velenoso mix di intervento statale e spesa pubblica. Non per nulla le sue origini politiche sono socialiste.
Allora perché, ci si chiederà, è così inviso agli economisti di sinistra che spendono e spandono altrettanto? Facile. Perché è di destra. Certe cose, se è la sinistra a farle, sono benedette, se è la destra, maledette (*).
Comunque sia, la sinistra sembra avere nella faretra politica la freccia Cottarelli, noto nemico della spesa pubblica a gogò. Una specie di anti Tremonti. Forse un cambio di direzione? In realtà, il problema non è solo la riduzione della spesa pubblica, ma anche quello di diminuire al tempo stesso la pressione fiscale. E sul punto Cottarelli resta sordo, come tutta la sinistra alla quale piace la persecuzione fiscale del ceto medio per elevare i poveri, pardon i meno fortunati.
Per contro Tremonti, noto pure per le sanatorie, una volta Ministro dell’Economia, non potrà non ricorrere, come in passato (il lupo perde il pelo ma non il vizio), al vecchio trucco di scorporare dalla spesa pubblica le spese correnti (salari e stipendi) da quelle in conto capitale (investimenti). Come pure giocherà sulle differenze tra bilancio di cassa (effettivo, ciò che si è speso) e bilancio di competenza (immaginario, ciò che si doveva spendere, e non si è speso), trasferendole o meno al bilancio successivo in base alle convenienze politiche. Una specie di Mago Silvan delle voci di spesa. Insomma, “Sim salà bim” e il gioco è fatto.
Mi ricordo, forse nel 2004, una colazione a due, nei pressi di Porta Pia, con un economista, allora un amico (perché gli servivano le mie recensioni), all’epoca collaboratore di Tremonti. Lo dipinse, tra una portata e l’altra, con toni entusiastici, come una specie di prestigioso mago dei bilanci: una specie di bravo commercialista della “famiglia” Italia… Insomma, magia bianca non magia nera.
Chi scrive ha invece sempre creduto che Tremonti, fosse sì un commercialista, ma di quelli che all’improvviso svaniscono nel nulla. Un apprendista stregone, con i soldi degli altri.
E ora, grazie a quel genio di Giorgia Meloni, rischiamo tutti di ritrovarci con Tremonti di nuovo parlamentare e probabilmente anche Ministro dell’Economia…
Carlo Gambescia
(*) Per un rapido riscontro sul disastroso andamento della spesa pubblica negli anni Dieci del Duemila si veda qui: https://www.politicasemplice.it/capire-politica/politiche-pubbliche/economia-conti-pubblici/spesa-pubblica-italiana/ .
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