martedì 31 marzo 2020

Cosa ci aspetta dopo il Coronavirus?
C’ è un brutto passato nel nostro futuro

Quando e come  si riprenderà l'Italia da questa overdose di assistenzialismo e autoritarismo? Bella domanda.  Alla quale è difficile, se non impossibile rispondere. Parliamo di un  Paese, storicamente distinto da piagnoni, mendicanti, avventurieri (anzi “condottieri”), con qualche colpo di genio, qualche eccellenza, ma privo di spina dorsale economica, spina dorsale liberale. Mai veramente approdato alla modernità. Forse alla post-modernità, ma senza passare per la prima.
In fondo, il problema  non è il Coronavirus.  E allora qual è?  
Diciamo subito che siamo al cospetto della prima epidemia populista-digitale della storia (saremmo  tentati di dire dell’intera storia umana), che ha visto un governo, di nuovo conio, presieduto (per  autodefinizione) da un “Avvocato del Popolo italiano”,   trasformare  un’epidemia stagionale, forse lievemente più forte del solito (i conti si faranno alla fine) in una pandemia psico-politica dalle devastanti conseguenze economiche e sociali. L’Italia populista sì è addirittura  proposta,  grazie alla pericolosa drasticità delle misure adottate, come apripista europeo:  una specie di modello occidentale, dopo la Cina. Un'Italia,  abilissima  nel segregare l' "amato" popolo pur di   salvarlo "tutto"  da  una catastrofe “reinventata”: la  Mecca per i populisti di tutto il mondo...
Qui è il problema. Sì, la catastrofe  “reinventata”. E gli effetti a catena prodotti dalla fiction politico-mediatica  sull’epidemia tutt’ora in onda e con grande successo (stando ai sondaggi favorevoli  per l’operato del Governo: vera sindrome sociologica di Stoccolma). Un fiction,  che, come “Don Matteo”  rischia di però non finire più.  Insomma, di avere  gravi  conseguenze per il futuro.
Di chi è la colpa?    Il giornalista  -  penso alle tante  scemenze che si leggono -  non può avere, proprio per mestiere  una visione generale,  innanzitutto perché  è sua   abitudine, dal momento che i tempi redazionali  sono ristretti,  correre subito alle conclusioni generali, anche se avventate. Inoltre, in questi giorni,   nelle prime pagine, ma anche in quelle interne  (ancora peggio televisioni, radio e social, questi ultimi  nelle mani di dilettanti), sono tornati a prevalere, più che mai,  i valori della cultura del romanzo d’ appendice, pesante eredità del populismo del XIX secolo, riversatasi nel populismo  del XXI: casi pietosi, intrighi politici, colpi di scena, sentimentalismo. E quel che peggio, un ipocrita “andare verso  il  popolo”, che non è più il popolo del  "Quarto Stato" di  Pellizza da Volpedo (da radici della rivoluzione industriale), ma  una massa disgregata di individualisti protetti, pronti a vendersi al primo offerente politico che spacci dosi di welfare tagliato con il veleno dell’autoritarismo. 


Di chi è allora la colpa, ripetiamo?  Intanto, di un servilismo verso il potere,  di cui l’ Italia,  a parte la parentesi Risorgimentale,  ha sempre dato prova.  Si dovrebbe fare la storia a singhiozzi del populismo italiano, dai Gracchi a Grillo, passando per Cesare, Gregorio VII, Cola di Rienzo e così via. Sul punto rinviamo a Fabio Cusin (Antistoria  d’Italia). 
Allora che cosa è successo?  Si è verificata una sciagurata  saldatura sociale  tra populismo culturale, mediatico  ma  dalle profonde  radici storiche,  e populismo politico, anch’esso antico, ma  rafforzato  dalle violentissime correnti antiliberali e antipolitiche che si sono abbattute sull’Italia negli ultimi venti, trent’anni. Si aggiunga a questo una Chiesa cattolica, anch’essa su posizioni populiste,  rafforzate dalla convergenza con il  peggiore moralismo  della  sinistra neocomunista,  ecologista e anticapitalista. Senza dimenticare il ruolo svolto per delega, come unica fonte autorizzata della decisione politica, dalle legioni di medici e scienziati arruolati dal governo populista,  prigionieri però, professionalmente prigionieri - i medici  -  di una visione ultraspecializzata, quindi limitata e impolitica della realtà.
Detto altrimenti:  la tempesta perfetta,  come sommatoria di alcune forme (storiche o meno) di impoliticità: culturali, populiste, religiose, moraliste, scientifiche. Fortificate dalle metodologie del welfare e digitali. Per farla breve: rischia di vincere,anzi sta  già vincendo,  l'antimodernità  armata, tecnologicamente armata,  di tutti i nemici coalizzati della società aperta. 

Ecco perché ha senso parlare, come dicevamo  all’inizio, di   prima epidemia populista-digitale della storia.    
Ora, su queste masse italiane, semi-modernizzate, da  secoli  affamate  di  "pane e giochi",  ammaliate e spaventate al tempo stesso dalla pseudocultura delle “feste, farina e forca”,  che effetto potrà avere l’overdose di provvedimenti assistenzial-autoritari del governo populista? Misure che  non possono non essere fonte inevitabile  di ruberie, imbrogli e prepotenze,  degne dei  reali   borbonici, dotati però di  droni e reti digitali?  
Che dire? C’è un brutto passato nel nostro futuro.  



Carlo Gambescia