giovedì 26 marzo 2020

Da Cavour a Conte
L’Italia  come terra dei furbi?

Si dice che la storia  sia  uguale ovunque  e che nessun popolo abbia un proprio carattere specifico. In realtà, se la cultura (ciò che si pensa, ciò che si fa intorno all’individuo alla nascita),  ha un ruolo nello sviluppo individuale, non può non averlo, per così dire, come somma di idee diffuse (e di comportamenti conseguenti)  sul piano  collettivo.
Esistono inoltre stereotipi che i popoli  usano a vicenda per squalificarsi.  Ad esempio, "cantante   e mafioso",  sono due stereotipi che si usano  nei riguardi degli italiani. E che  hanno origine in due filoni culturali, ben precisi e reali,  sviluppatisi nel “Belpaese” nel Sette-Ottocento: amore per il bel canto e per le associazioni segrete.
Insomma, esiste il fatto e la deformazione di quel fatto. Ora sul piano politico, uno dei principali pregiudizi verso gli italiani, è l'accusa ai nostri uomini politici di essere doppiogiochisti. Pensiamo a una tradizione, che accanto a quella delle associazioni segrete (politiche e criminali), nacque nel Risorgimento. Cavour fu il primo ad essere accusato di doppiezza. 
Insomma, piaccia o meno,  non si può non rilevare una vera e propria tradizione  nazionale incarnata da figure storiche  che vanno da Depretis ad Andreotti, (semplificando). Una linea di comportamento politico  che ha spinto gli osservatori stranieri  a dipingere i politici italiani   come persone poco affidabili, sempre pronte alle giravolte. E qui si rileva anche  il peso di certa  cultura diffusa, tra i diversi ceti sociali italiani,  che del politico apprezzavano e apprezzano  proprio la furbizia. Un atteggiamento collettivo che non ha potuto non  influire sul comportamento dei politici,  "adeguatisi" prontamente  al modello del  "Furbo",   un po' per natura un po' per cultura,  nella speranza di essere ricambiati in voti.  
Non è un atteggiamento del politico in quanto tale, lo però, e  in particolare,  dei politici  italiani costretti comunque  - e qui pensiamo a Cavour e Giolitti, due ottimi statisti -  a muoversi  nel contesto geopolitico  di una media potenza, giunta tardi alla modernità economica, e perciò costretta “ad arrangiarsi”, pur di sopravvivere in un quadro interno ed esterno difficilissimo.
Ovviamente, l’arte della furbizia, come  doppio, triplo gioco,  può essere esercitata bene o male: Cavour unificò la nazione, Mussolini la spezzò. 
Il Duce,  pensando di fare il furbo secondo le “nostre tradizioni”,   entrò in guerra al fianco di  Hitler, per sedersi vittorioso al tavolo della pace, come disse al suo seguito (citiamo a memoria),  "grazie a un pugno di morti italiani sul campo".  E invece finì appeso, dopo aver distrutto l’Italia.  Franco,   dittatore spagnolo,  “astuto galiziano”, che aveva ben  altra tempra rispetto all’ “italianissimo” Mussolini e per giunta  alle spalle la cultura dei “Re prudenti”, si guardò bene dallo scendere in guerra  al fianco di Hitler e Mussolini.
Due tradizioni, due modi  di essere “furbi”…
Dove vogliamo andare a parare? Semplicissimo, che un personaggio come Giuseppe Conte appartiene alla peggiore tradizione della doppiezza italiana, che tanto ci viene rimproverata all’estero, quanto invece apprezzata dagli stessi italiani.
Sta invitando  russi e cinesi a venire in Italia "per aiutarci". Due potenze che  ovviamente non si fidano di noi, e che  quindi  inviano  delegazioni, soprattutto i primi,  piene zeppe di militari e spie.  Al tempo stesso Conte, sentendosi  forte dei "nuovi amici" ricatta l’Europa, alza la voce, non rinunciando a un bel pizzico di retorica (“la Storia ci giudicherà). Il probabile risultato della sua  politica sarà il progressivo isolamento e slittamento dell'Italia  verso forme di  larvata o manifesta  sudditanza, sdraiandosi  ai piedi di  paesi governati da dittature come Russia e Cina.  Sistemi politici e storici che, per severe e spietate tradizione militari, non scherzano con gli alleati riottosi, o comunque con i popoli sottoposti (come oggi  in Crimea e in Mongolia).  

Ma Conte si crede furbo,  e con lui, Di Maio,   il  Ministro degli Esteri.
Diciamo però che il vero  capolavoro (si fa per dire)  di Conte è l’ultimo decreto, che tra l’altro non si riesce ancora a leggere (ma anticipato dai giornali), dove   - e qui ci scusiamo per l’autocitazione:

Una cosa è certa -  anche se il Governo  nega -  che i pieni poteri, perché di questo si tratta,  dureranno fino al 31 luglio, termine, certo,  fissato in gennaio, ma ora ribadito alla luce dei nuovi provvedimenti  e soprattutto  di sempre  possibili ulteriori proroghe. 
Sicché  le misure durissime contenute nel decreto, in questo momento non ancora pubblicato, ma nella sostanza anticipato dai  media,  resteranno in vigore ancora per mesi.  Inoltre l'accenno - si fa per dire -  alla "modulazione" delle misure "secondo l'andamento epidemiologico" è una specie di cambiale in bianco  firmata dagli italiani a un Governo dalle mani completamente libere che ha il monopolio ufficiale delle informazioni sul corso dell'epidemia...    
 (http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2020/03/chi-esce-di-casa-finisce-in-carcere.html )

Qui il punto, e mi rivolgo ai lettori  inebetiti  dalla  valanga di provvedimenti restrittivi degli ultimi giorni, non è  il dito (la “quarantena”) ma la Luna ( il ribadire, cosa non  tecnicamente necessaria, il termine del 31 luglio, per far  passare e accettare il  pericoloso concetto di   “modulazione delle misure”).
Il capolavoro (si fa per dire)  di Conte  è la  definizione  del 31 luglio come “data teorica”. Che teorica non è perché è nelle carte, e proprio perché nelle carte, basterà cambiare un virgola  per  prorogarla con un altro decreto. Il male è nella  decretazione d’urgenza che porta ai pieni poteri e i pieni poteri che portano alla decretazione d’urgenza. Altro che quarantena… Stando così le cose,  Conte, se vuole, può mettere in prigione a vita, dentro casa, gli italiani. Che, poverini,  inebetiti,  lo ringraziano pure…
Eppure, come si dice e si crede, il nostro sarebbe un  “Paese di Furbi".  Ecco,  sarebbe…


Carlo Gambescia