giovedì 12 marzo 2020

L’Italia al tempo del Coronavirus
La svolta  biopolitica

Mi capita spesso in questi giorni di isolamento forzato, di  conversare telefonicamente con amici e persone di famiglia sui risvolti sociali del Coronavirus: tutte le conversazioni  lasciano trasparire, da parte del 90 per cento dei miei interlocutori, il  desiderio  di conforto, di sentirsi dire che tutto andrà bene, eccetera, eccetera. Solo in pochi  sembra affiorare  uno spirito di ribellione, o comunque la necessità  usare il senso critico
Non dico nulla di nuovo, Sorokin, nei suoi studi, degli anni Quaranta del secolo scorso, sul rapporto tra calamità e società corredati di ampie  statistiche, mostrò che in queste fasi le società si polarizzano  tra individui  capaci di dare il  meglio e il peggio, esemplificando,   "eroi vs saccheggiatori".  Per contro, il resto della società, diciamo il novantacinque per cento delle persone,  reagisce  secondo il criterio dell’istinto di sopravvivenza, modulato dal carattere, dall’ambiente, dall’ età, dall’istruzione, eccetera.  
Le persone si chiudono in se stesse e quanto più il messaggio sociale che pervade la vita quotidiana  enfatizza il pericolo tanto più la società si atomizza:  nel senso che  si scompone in particelle individuali minutissime che non comunicano in alcun modo tra di esse. Per capirsi: né in termini di prezzi (mercato), né di valori (società), né di sapere  (cultura).

Il che, inevitabilmente, rafforza, dinanzi all' individuo marginalizzato, il potere biopolitico (di vita e di morte) delle istituzioni.  Per citare un esempio sociologico classico, tocquevilliano, quanto più una società si  atomizza , insomma si  priva delle sue istituzioni (da quelle di mercato all’associazionismo sociale e culturale, eccetera) tanto più diventa prigioniera di un forte potere centralizzato che decide ciò che sia bene per il singolo, anche dal punto di vista della sopravvivenza biologica.
Un’epidemia, come quella in corso,  nonostante per ovvie ragioni di ordine pubblico la retorica politica  (uso il termine  retorica in modo neutrale) debba incoraggiare i comportamenti altruistici verso lo stato e verso i concittadini,  de facto, mina le relazioni sociali, alimentando  comportamenti  egoistici  e fenomeni di  accentramento  del potere politico.
Comportamenti egoistici, che, attenzione,  dal punto di vista della pura sopravvivenza individuale, sono totalmente  comprensibili.  Non lo sono ovviamente dal punto di vista della conservazione sociale di una rete di prezzi, valori, sapere. Di ciò che si chiama società civile:  un piccolo miracolo sociologico e storico, che  ha meno di tre secoli di vita.
Quel che va sottolineato è la natura oggettiva  del processo sociale di atomizzazione, che si mette in moto ogni volta che si presenta una situazione di pericolo sociale.
Come si comportano le autorità sociali, o comunque coloro che detengono  il potere?
Innanzitutto, esistono due tipi di pericolo sociale. Quello  reale (come l’invasione  da parte di un nemico, un terremoto, un’ epidemia)  e quello irreale ( si pensi alla retorica  anti-immigrati, alle fobie complottiste, eccetera). Ora,  a dire il vero, tra i pericoli reali, quello epidemico è il più rischioso dal punto di vista della percezione della realtà effettiva. 
Il che non è mai bene. Perché quanto più la percezione della realtà è scalare ( nel senso di  una misurazione effettiva del fenomeno estremamente variabile e se valutabile, sempre in chiave prospettica) tanto più diventa difficile adottare politiche compatibili con un pericolo che non si lascia ingabbiare dal senso della realtà.
Esistono perciò due tipi di possibile  risposta politica,  o  lasciar fare, ovviamente adottando misure minime di tutela, o applicare il principio di precauzione  per  intervenire all’insegna del “come se”. Il primo  non  favorisce l’atomizzazione-centralizzazione, il secondo sì.
In Italia si è dato il secondo tipo di risposta,  per alcuni addirittura in ritardo, per alcuni come chi scrive, in modo fin troppo energico. Ora perciò ci troviamo alle prese  con un processo di atomizzazione, in basso al quale corrisponde  un processo di centralizzazione in alto.
Ci viene ripetuto  quasi ogni giorno  che le misure precauzionali sono a termine e  che sono  per il nostro bene.  In realtà,  si tratta di processi (atomizzazione e centralizzazione), come detto,  dotati di forza propria che una volta avviati  non possono essere facilmente arrestati, proprio come avviene con le epidemie psichiche di paura diffusa: la paura incide sulla decisione politica e viceversa.  E così via secondo la classica forma della spirale sociale.

Ora, per tornare alla situazione italiana, tutto ruota intorno alla reale consistenza del giudizio politico sulla pericolosità sociale del Coronavirus.  Politici  e medici , compatti (scienziati qualcuno di meno), sono tutti dalla parte del principio di precauzione, come del resto larghissima parte  dei cittadini attoniti.  
Il Coronavirus, secondo la retorica pubblica dominante, direttamente o indirettamente, può ucciderci tutti. Di conseguenza, si è messa in moto una “macchina sociale” di natura biopolitica che vede addirittura  nello stato (quindi non solo nel governo) il difensore del bios individuale: macchina  che non può essere fermata dall’oggi al domani e che può costituire un pericoloso precedente.
Sociologicamente parlando, piaccia o meno, così  stanno le cose.

Carlo Gambescia