martedì 19 marzo 2019

Una lettera per Andrea Marcigliano






Caro Andrea, 

Questa è una lettera pubblica a te rivolta.  E di scuse.  Consentimi però, prima, di  inviare i miei ringraziamenti collettivi agli autori dei  numerosissimi attestati di stima, giuntimi ieri in forma privata. Devo sinceramente dire che  avrei preferito leggerli in calce alla mia replica. Comunque capisco.

Vengo a noi.  Tra i commenti apparsi  sulla pagina di Campi,  uno mi ha colpito in particolare, il tuo.  Certo,  quel che ieri  hai scritto di A Destra per caso mi ha ferito. Forse, se all’epoca  tu  avessi recensito il  libro, muovendo critiche, anche le più spietate,  forse  il commento di ieri non ci sarebbe stato. Forse, e tre, saremmo rimasti amici.
Il condizionale è d’obbligo, perché purtroppo è  vero che in quel libro, scritto a quattro mani  (che io, sia chiaro, ancora considero preveggente, soprattutto nei riguardi della parabola finiana)  sei  liquidato con una battuta, infelice e ingiusta.   E non mia.  Però come coautore, non potevo e non  posso sfuggire (come dire?) alla  “chiamata di correo”. Tuttavia,  posso ancora  scusarmi. E pubblicamente. Ovviamente, a nome mio.

Dico questo, perché  a differenza, di un altro commentatore sempre di ieri, di cui ricordo in altra occasione, molto lontana,  una servile  telefonata di scuse, ordinatagli in alto, tu Andrea sei un uomo dalla schiena dritta, oltre che colto, conoscitore di lingue straniere e dalle grandi capacità di lavoro. Nonostante il silenzio di questi anni,  ricordo ancora con piacere, oltre ai sempre interessanti scambi di idee,  quando mi onorasti, pubblicando con Settimo  Sigillo, di cui ero direttore editoriale,  un ottimo volume sui comunitaristi americani.    

Un abbraccio, credimi,  sincero.

Carlo