venerdì 1 marzo 2019

Libertà di stampa
Perché  "Messaggero" e "Mattino"  ce l’hanno all'unisono con Salvini per la legge sulle autonomie?

Oggi, come  da alcune settimane,  “Il Messaggero” e  “il Mattino”  giornali di proprietà di Francesco Gaetano Caltagirone , alla testa, si dice,  del quinto gruppo editoriale  italiano,  martellano  Salvini, criticandone l’operato,  sulla questione di una maggiore autonomia finanziaria  alle Regioni del Nord, di recente rilanciata dal Giostraio Mancato. 
Non siamo giornalisti investigativi, però la cosa è sospetta.  Probabilmente -  tesi più semplice - Caltagirone  teme di perdere relazioni e lavori, insomma  denari, al Nord, oltre a quelli che già sta perdendo  nella Capitale,  dove domina  l’immobilismo orientale edilizio a Cinque Stelle.  E quindi si difende, dando ordine di attaccare agli  affidabili  direttori, Virman Cusenza  e   Federico Monga, che nel giugno scorso  sostituì  al "Mattino" Alessandro Barbano (nella foto), dimissionato perché antipopulista.

Come si può capire,  Caltagirone, inizialmente,  aveva ordinato  di sospendere il giudizio sul  Governo giallo-verde, sacrificando il recalcitrante Barbano. Ora però, sembra aver cambiato idea  su Salvini (ma anche su  Di Maio, visti i non pochi  attacchi al Reddito di Cittadinanza e a Quota Cento). Sicché da alcune settimane i suoi giornali hanno aperto il fuoco su una questione, sostanzialmente di soldi, come quelle delle autonomie.
Si dirà, Caltagirone paga, Caltagirone comanda. Giustissimo.  Però, ecco, sarebbe compito  dei  giornalisti, dalla redazione ai collaboratori,  non attaccare  il famigerato asinello dove desidera il padrone,  quando e se ritenuto lesivo della propria dignità  e della libertà di stampa. Anche a rischio di  perdere  lavoro o contratto di   collaborazione.
A questo proposito, quando Barbano  venne dimissionato, nel silenzio generale della stampa italiana,  alcuni   intellettuali e accademici -  come si legge nell’unico foglio, per giunta pubblicato Oltreoceano, che  osò  sfidare   il conformismo, intervistandolo -   indirizzarono, assai  preoccupati, una lettera aperta  al nuovo direttore.

In un quadro politico che cambia confusamente e che accredita linguaggi semplificati, programmi fantasiosi e perfino oscure identità geopolitiche, abbiamo appreso increduli del licenziamento di Alessandro Barbano dalla direzione del Mattino, scrivono, il suo allontanamento ci sembra segnalare una pericolosa tendenza a seguire, talvolta pedissequamente, il carro della politica di Palazzo. Ma riteniamo non meno gravi le reazioni a un atto così repentino, ufficialmente immotivato, in qualche misura drammatico.
Le reazioni, infatti, non ci sono state. Non una parola è stata spesa da parte della stampa nazionale e perfino della stampa locale. Non una parola è venuta da una solitamente combattiva Fnsi, dall’Ordine dei Giornalisti o dalle istituzioni politiche, continua la missiva. Non è per una corriva acquiescenza al retroscenismo che denunciamo le due notizie: il licenziamento e il silenzio. Esse avvengono nei giorni stessi in cui cambia il quadro governativo e sembra dilagare una lettura manichea del Paese e del mondo che sarebbe errato giudicare semplicemente ingenua.
Biagio De Giovanni, Paolo Macry e Aldo Masullo 

Ottimo. Sottoscriviamo. Ci sarebbe però  piaciuto leggere, accanto a queste firme, quella di Alessandro Campi, professore a Perugia, già consigliere di Gianfranco Fini e, per l'appunto,  collaboratore del “Messaggero” e del “Mattino”.  Che invece si è ben guardato da aggiungere la sua. 
Le tesi di  Étienne de La Boétie sono note. La servitù volontaria se la impongono gli uomini,  da soli… 
Pertanto, Caltagirone fa il suo lavoro. Sono certi intellettuali che non fanno più il loro.  

Carlo Gambescia