venerdì 22 marzo 2019

Stella rossa sull'Italia
Arrivano  i cinesi



Fino a qualche anno  fa,  nessuno  avrebbe  immaginato la svolta cinese del Governo italiano. A parte forse, il compianto Bruno Lauzi, autore di una spassosa e preveggente  canzone.  Ricordate?

Arrivano i cinesi
succede un quarantotto
si piazzano in salotto
e non se ne vanno più

Perché, perché?
Perché lo chiedo a te
Perché, perché?
Perché?

Ce lo chiediamo anche noi.
Europeisti, filoamericani, filoisraeliani,  con qualche giro di valzer in Medio Oriente ,  al massimo qualche apertura amical-berlusconiana  verso la Russia putiniana, senza alcuna sovrapposizione ideologica eurasista.  Business as Usual. Senza alzare polveroni politici.  Ecco  il principio che animava l’Italia della Seconda Repubblica. E per alcuni osservatori anche della Prima. 
Ora però arriva addirittura il presidente Xi Jinping,  accolto in pompa magna. Per dire una banalità geopolitica:  Mao e successori, se ricordiamo bene,  non erano mai venuti Italia.  Chi scrive, sia chiaro,  non ha nulla in contrario sul fare affari con tutti. Ma ora la domanda è:  che vuole la Cina da noi? Risposta. I porti per i suoi traffici.  E noi che vogliamo dalla Cina?  Risposta. Che compri il nostro debito pubblico.  Nella bozza del memorandum, si parla di investimenti  infrastrutturali  della Cina in Italia e di una istituzionalizzazione del dialogo finanziario tra i rispettivi ministri competenti. (*).
Certo, poi c’è il piatto  forte  dei buoni affari  per le imprese italiani in Cina  con spruzzi di   retorica liberoscambista.  Cosa che non guasta mai.  Ma il succo dell’accordo è porti contro debito pubblico.  Succo politico.
Che significa?  L’economia, è sottoposta a fattori dimensionali. E questo fattore  tra Italia e Cina, è pari a quello tra la Repubblica di San Marino e l’Italia.  Tanto per evidenziare il gap strutturale tra Cina e Italia.  Il che è assai pericoloso. Inutile insistere sul punto. 
Qualcuno penserà  che la stessa logica si può applicare, magari retrodatandola, ai nostri rapporti con gli Stati Uniti e con l’Unione europea.  No. E per due ragioni.
La prima, è di tipo finanziario. Il nostro debito pubblico, non  è comprato direttamente dal Tesoro Usa o da quello Europeo (che neppure esiste). Certo, la Banca centrale americana (da non confondere con i fondi) e in via privilegiata quella europea (con acquisti massicci),  intervengono sui mercati (**), ma non sono  tutt’uno con il potere politico  Mai dimenticarlo.
Si dirà che la nostra è distinzione di lana caprina, perché dietro le Banche Centrali giganteggia l'ombra del draculesco  potere politico  statunitense e  franco-tedesco.
E sia. Ma attenzione,  qui emerge,  la seconda ragione. Quale? Che la Cina è una dittatura, Stati Uniti, Germania e Francia, no.  E come funziona la politica estera  delle dittature?  Si chieda ai tibetani e alle altre minoranze allogene sotto le grinfie cinesi.
Il  vecchio Kissinger, sosteneva che in politica estera, la  comunanza degli interessi è fondamentale, ma non è da meno, la comunanza dei valori. Semplificando: l' insalata economica sfama , ma con l' olio, l' aceto e il sale dei valori si appaga il palato.  Qui, oltre ad entrare in urto con gli Usa e l’Ue sull'insalata,  Italia e Cina  sono  lontane anni luce, almeno prima che giungessero i populisti al potere,  sull'olio,l'aceto e il sale: la metafora fa pena. Ma  questo oggi passa il convento. 
Naturalmente per le  destre italiane, l’arrivo di Xi è una specie di vincita al superenalotto. In particolare pensiamo  alle  sub-culture fasciste e  post-fasciste, confluite culturalmente nell'alleanza giallo-verde, che sognano dal 1945, di liberarsi dall’influenza della liberal-democrazia statunitense ed europea.  
Chi avrebbe mai immaginato, ripetono, a se stessi e ai sodali, leader e leaderetti miracolati, che “saremmo tornati a fare politica estera”?  Sì, come San Marino.  No peggio,  Salò. 

Carlo Gambescia

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