martedì 12 marzo 2019

La scomparsa di Guillaume Faye
Un romantico della politica

Il sette marzo è morto  Guillaume Faye (nella foto). Avrebbe compiuto settant’anni il prossimo novembre. Era da tempo malato.  Tra gli anni Settanta e Ottanta del  secolo scorso rappresentò  l’ anima volontarista, romantica,  della Nouvelle Droite: se si ci si passa la metafora sacrilega, Faye incarnò l’attivismo dei primi ordini mendicanti,  mentre   Alain de Benoist, ne era l’anima benedettina, dedita esclusivamente allo studio e al lavoro culturale.
Infatti, inevitabilmente,  a un certo punto le due anime si separarono. Senza, crediamo, perdere la stima reciproca, come del resto testimonia una lunga intervista, vingt ans après (per dirla con Dumas padre) a “Éléments”, dove Faye confessò, tra le tante cose interessanti, amichevoli  e simpatiche raccontate,  di essersi dedicato, a tempo perso, anche  alla frequentazione dei set dei film pornografici. Agli amanti del genere, il compito di recuperarne i preziosi fotogrammi.
Quella che può sembrare una battuta, evidenzia invece bene, ciò che può essere definito il lato dannunziano di Faye, romantico, politicamente romantico,  tutto  genio e sregolatezza.
Genio, perché in opere come Le système à tuer les peuples (1981) e La Nsc: Nouvelle société de  consumation (1984)  tradusse, non senza un brillantissimo tocco personale, ad uso e consumo dell’estrema destra, in larghissima parte sociologicamente illetterata,  il complicato e raffinato lessico sociale  della Scuola di Francoforte e della microfisica strutturalista  del potere di Foucault, che lui, Faye, con robusta  formazione da  scienziato sociale, conosceva a memoria.  

Sregolatezza, perché, da romantico politico, Faye non  comprese mai  i tempi lunghi  della politica, che invece un suo caro amico italiano, trasferitosi in Francia, Giorgio Locchi, ben conosceva, mettendolo in guardia. Di qui,  quel suo romantico gravitare, rimproveratogli,  crediamo, anche dal Benedettino Parigino (via Tours),  negli ambiti delle sregolatezze della politica politicante. Un  voto francescano di rinuncia cognitiva,  quello di Faye, frutto di un volontarismo, forse caratteriale, e di una incomprensibile incomprensione, nonostante la sua formazione sociologica,   delle durezze selettive della politica: un mondo in cui, di regola, gli amici diventano nemici e gli amici nemici, secondo il rapsodico, ma ferreo,  gioco degli interessi, dei poteri e dei carismi rivali, veri o falsi che siano.    
Il che spiega, per contro, perché Alain de Benoist, da buon benedettino delle idee, e profondo conoscitore delle regolarità metapolitiche,    abbia, sempre preferito, e giustamente,  l' ora et labora. E perciò di  tenersi alla larga dall'influsso venefico dell'occasionalismo, come adesione, occasionale,  alle  cause politiche più diverse, pur di poter cambiare la realtà. 
Per inciso, sarebbe interessante, se esistesse, studiare la corrispondenza tra i due  maggiori intellettuali della Nuova destra franco-italiana dopo Alain de Benoist: Locchi e Faye. Ma sarebbe interessante indagare - altro inciso nell' inciso -   anche i rapporti intellettuali, tra Faye e Robert Steuckers, altro nomade d'ingegno della Nouvelle Droite, ramo dinastico franco-belga. Ovviamente, anche la non breve sinergia Faye-De Benoist è tutta da ricostruire. E capire ( e gustare) nelle sue sfumature.
Sregolatezza intellettuale, dicevamo, che si evince, sul piano cognitivo, anche da un libro come Archéofuturisme (1998), dove l' approccio strutturalista di Faye, insomma da sociologo,  fa a pugni con la sua  sensibilità da  individualista romantico della politica.  Infatti, il lavoro, a un certo punto slitta, per assumere,  tecnicamente parlando, la forma del romanzo utopico in chiave sovrumanista. Poesia contro prosa sociologica.  versi contro concetti,  materiali tellurici, forse, da dissidenti della ragione.
Il mix di futurismo e tradizionalismo, che  innerva il pensiero di Faye, a un tempo sociologico e post-sociologico,  non è altro che la perfetta incarnazione, quasi da manuale, di quel  romanticismo politico,  come insegnava Carl Schmitt, che conduce inevitabilmente all' occasionalismo.  Infatti,  Faye, autore di un trentina libri, spazia  dal  terzomondismo, al protezionismo economico, dall’eurasismo, seppure riveduto e corretto,   fino allo spezzare una lancia in favore di Israele e del Giudaismo in chiave anti-islamica.  Tutto e il contrario di tutto. 
Provocando così inevitabili soprassalti culturali nei suoi lettori, prevalentemente di estrema destra. I quali però, imbevuti dello stesso romanticismo politico, ma di regola,  di gran lunga culturalmente inferiori,  tendono tuttora a scorgere in  Faye,  senza avvedersi dei problemi di scala cognitiva ed euristica, una specie di reincarnazione del filosofo Nietzsche.  Che però, detto per inciso,  non aveva mai  studiato sociologia.   E che quindi non era a conoscenza  come Faye, degli inesorabili rotismi  della   macchina sociale.  Un aspetto, quello dei determinismi sociali, che  resta tra i più interessanti dell'opera di Faye, seppure nascosto, se non addirittura sepolto,  sotto l'abbondante cenere dell'occasionalismo politico.  

Del resto,   in Francia,  il suo La nouvelle  question juive (2007), venne attaccato da un'estrema destra antisemita, "diversamente" occasionalista.  Mentre in Italia attende ancora di essere tradotto. Il che, tra l’altro, la dice lunga sull’antisemitismo,  oggi mascherato da antisionismo, dell’editoria neofascista. Sotto questo aspetto le frizioni, talvolta cortocircuiti, tra gli stilemi del radicalismo di destra, refrattario alla sociologia,  e le intuizioni sociologiche di Faye, come dicevamo, di derivazione strutturalista,  andrebbero ricostruite e studiate.   
Con Faye,  scompare  un  romantico della  politica. Evidentemente, stanco di vagare d’un château l’autre, aggredito dal male,  ha preferito chiudere  gli  occhi,  appuntiti e mobilissimi.  In cerca di riposo. 

Carlo Gambescia