Sul
“Barbarossa” di Renzo Martinelli
Due parole sul “ Barbarossa” di Renzo Martinelli. Dunque,
abbiamo visto domenica e lunedì l’edizione televisiva del film, probabilmente
più lunga di quella cinematografica. Che dire? Il film è indubbiamente spettacolare,
senza però raggiungere livelli americani. Ma al tempo stesso risulta rozzo -
proprio come un action film statunitense - nell'opera di tratteggio delle
psicologie dei protagonisti. Inoltre, non si contano gli anacronismi, a
cominciare dall’aver retrodato la caccia alle streghe di almeno due secoli e
mezzo. Martinelli è un regista dalla mano decisamente pesante. I suoi film,
anche se meritori come “Porzûs”, sono sceneggiati e girati a colpi di ascia.
Quanto alla “tesi leghista” tutta giocata dall’inizio alla fine sul riscatto,
politicamente post-moderno, delle libertà lombarde, c’è poco da aggiungere… In
effetti, Milano correva per sé: i sogni risorgimentali erano lontani
"secoli-luce". Se non che (forse per accontentare il neo-paganesimo
rusticano dello sponsor Bossi?), si finisce per perdere di vista il profondo
legame tra chiesa locale, in primis il basso clero, e rivoltosi. Un aspetto
quest’ultimo, che è possibile ritrovare, e capire in tutte le sue conseguenze
(soprattutto in chiave di intensa religiosità popolare), nella sempre
intrigante Storia della Lega Lombarda, uscita nell'anno di grazia 1848 e
scritta da Luigi Tosti. Un monaco di Montecassino, cattolico-liberale, che pur
sopravvalutando la natura pre-unitaria (ben sette secoli prima!) di quei moti,
ne evidenzia assai bene i risvolti religiosi, del resto tipici della società di
quel tempo. Come testimonia e simbolizza, per l'appunto, la religiosissima
presenza del Carroccio durante la battaglia, con tanto di altare e sacerdote
celebrante una messa in onore del Dio degli Eserciti. Presenza cui sono
dedicati nel film pochi fotogrammi e dall’alto… Riassumendo: un film dai
caratteri psicologicamente rozzi, non privo di spettacolarità, certamente a
tesi, che tuttavia non coglie quel nesso tra fede cristiana e libertà comunali,
quindi libertà collettive, mai individuali o “dalla nascita”, come invece
rivendica davanti ai suoi accoliti, con anacronistico piglio giacobino, il
reinventato Alberto da Giussano del film.
Carlo Gambescia
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