martedì 11 ottobre 2011


Strumentalizzazioni
Perché non lasciare 
in pace Giuseppe Pella?


.
«C’era bisogno di un governo di tregua quando il Presidente Einaudi diede l’incarico a Giuseppe Pella. E anche se ebbe vita breve, fu un’esperienza importante e utile, che segnò il futuro dell'Italia repubblicana». Così il presidente Napolitano, giovedì scorso da Biella, centro operaio e laniero.
Cosa dire? Che non fu proprio un «governo di tregua». Anzi. Quindi l’ esempio, dispiace dirlo, è improprio. Nonostante, i giornali amici (del Centrosinistra), si siano subito attivati per fabbricare un Pella ad uso e consumo di un Governo tecnico, magari a guida Mario Monti. E così, chi ha messo il luce, il liberismo di Pella; chi ne ha magnificato il feeling con Luigi Einaudi, la comune piemontesità, e via cinguettando…
In realtà, Pella, pur essendo un difensore del mercato, se ci si passa la “botta” di retorica, fu anzitutto un patriota italiano. Perciò, è vero che il suo monocolore post-elezioni del giugno 1953 (quelle che avevano visto abortire il progetto di stabilizzazione al Centro, malgrado il premio di maggioranza introdotto dalla cosiddetta “Legge Truffa”), venne, se si vuole, imposto da Einaudi, ma è altrettanto vero che durò appena 142 giorni. E in condizioni precarie, come vedremo. Pella cadde il 5 gennaio del 1954, prima mal sopportato, poi scaricato da una Dc, tenuta insieme a fatica dallo stanco De Gasperi, che sarebbe morto nell’agosto di quell’anno.
Ma perché cadde?
Lasciamo la parola a Giano Accame (Una storia della Repubblica): «Pella assunse all’improvviso un carisma nazionale per il repentino esplodere della Questione di Trieste (…). Tito chiedeva l’annessione del territorio libero di Trieste, dicendosi disposto a concedere in cambio l’internazionalizzazione della sola città di Trieste, Pella replicò il 13 settembre con un’orazione in Campidoglio (“Sappiano i fratelli triestini che la loro causa è la causa di tutti gli italiani…”). Uno spostamento dimostrativo di truppe [italiane, ndr] ai confini orientali provocò entusiasmo a destra, ma indulgenze anche a sinistra, dove al Pci filomoscovita e in rotta con il comunismo secessionista di Tito non dispiaceva la fermezza di Pella sia nel contrastare le pretese jugoslave , sia nel subordinare alla questione di Trieste gli impegni contratti dall’Italia con l’Alleanza Atlantica».
Un linguaggio quasi alla D’Annunzio, che dispiacque al fin troppo prudente De Gasperi. Il quale, dopo i gravi incidenti triestini in novembre (tra l’altro, a Pella fu impedito di partecipare ai funerali dei sei dimostranti uccisi dalla polizia britannica), fece pervenire al Presidente del Consiglio, “via” Scelba, il seguente messaggio: «Il Paese ha bisogno di un governo idoneo a fronteggiare la situazione interna e internazionale diventate molto critiche, specie dopo i fatti sanguinosi di Trieste. E il Governo Pella non dà alcuna garanzia di poter essere all’altezza del compito» . Dopo nemmeno due mesi, il Governo cadde. Il povero Pella, reo di uno scandaloso amor di patria, finì nel purgatorio politico fino al 1972, quando venne richiamato da Andreotti, come Ministro delle Finanze in un modesto monocolore pre-elettorale… Per poi finire di nuovo in soffitta, dove solo soletto, nel 1981, affronterà l’ultimo viaggio. Dopo tanto Purgatorio, probabilmente, verso il Paradiso,
Signor Presidente Napolitano, un giorno o due dopo (non ricordiamo bene...), Lei ha dovuto precisare che il richiamo al Governo Pella «era un richiamo storico senza riferimenti all’attualità». Le crediamo sulla parola. Del resto, tra l’amor di patria mostrato di Pella e quello light di Monti & Co., sempre allineati e coperti con i mercati internazionali, c’è un abisso. Ma il punto resta un altro: come abbiamo mostrato il “richiamo storico” rimane improprio… Non fu un «governo di tregua», ma di guerra o quasi. E su tutti i fronti, a partire dall'atteggiamento politico della Dc fino a quello di Tito dell' Amministrazione interalleata di Trieste…

Carlo Gambescia
.

Nessun commento:

Posta un commento