Il libro della settimana: Armando Torno, Il
paradosso dei conservatori, Bompiani 2011, pp. 106, Euro 14,00.
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Mentre si legge Il paradosso dei conservatori (Bompiani 2011, pp. 106, euro
14,00), ultima fatica di Armando Torno, ci si sente sul treno sbagliato, come
quel personaggio interpretato dal giovane Verdone in "Borotalco",
senza però avere alcuna possibilità di scendere, anche lanciandosi dal
finestrino, prima di Civitavecchia… Perché il libro, a maggior ragione una
volta letto e chiuso, non offre alcuna via di fuga. Dal momento che nelle sue
pagine, come nell’arcinota notte hegeliana, tutte le vacche, conservatrici o
progressiste, sembrano avere lo stesso colore: «Chi scrive, osserva Torno, è
convinto che il conservatorismo sia un sentimento, un bisogno istintivo più che
un’ideologia. Anzi senza infingimenti si potrebbe (…) dividere l’umanità
attuale in conservatori e in chi si appresta a diventarlo. Non è una questione
legata alla giustizia o alla verità, è semplicemente un bisogno esistenziale
dell’uomo ». Insomma, anche il progressista più acceso sembra destinato a
diventare conservatore… Di qui, secondo l’editorialista del “Corriere della Sera”,
il carattere paradossale (politicamente parlando) di ogni conservatorismo.
Che dire? Troppo facile, addirittura banale. Soprattutto se quel «bisogno
esistenziale», viene ricondotto nelle limacciose acque del non sempre maestoso
fiume dell’ egoismo umano. Infatti, secondo Torno, « l’egoismo (…) camuffato,
sistemato, agghindato in mille modi, con il linguaggio mutato a seconda del
momento e della bisogna, diventa il punto di partenza di qualcosa che si
desidera conservare ». E su queste basi Torno fa rientrare nel conservatorismo
di oggi (ma crediamo anche di ieri), la conservazione della bellezza e della
virilità, dell’ambiente, del posto di lavoro, delle strutture burocratiche,
culturali e scolastiche. Per contro, le istituzioni politiche non ne farebbero
parte. E per quale ragione? Perché, a suo avviso, il conservatore, proprio
perché guidato dall’egoismo non può andare tanto per sottile. E così l’una
equivale all’altra. Come dire, primum vivere...
Diciamo che Torno, per buttarla sul filosofico-sociologico, coniuga Hobbes e
Pareto, senza però avvedersi che ogni buon conservatore è innanzitutto un
realista politico. Soprattutto quando si passa, dalle sensibilità collettive
all’agire politico e storico del singolo uomo di stato.
Cosa vogliamo dire? Che il vero conservatore considera l’egoismo solo uno dei
moventi umani con il quale fare i conti, senza però esagerare. In realtà, si
conserva sempre ciò che merita di essere conservato. Insomma, viene sempre
fatta una scelta di valore. Il puro egoismo: quel difendere ciò che è mio solo
perché mio, non sempre paga. In questo senso, per fare un esempio storico, nel
processo unitario italiano, l’Austria, rappresentava il (valore) passato, il
Piemonte il (valore) futuro. Cavour, saggiamente, puntò sulla sintesi realistica
(dei valori): una monarchia (il passato) estesa all’Italia unificata, ma
costituzionale e liberale (il futuro). Ovviamente, ebbe un peso rilevante anche
la sua abilità nel muoversi tra gli egoismi delle varie potenze europee e le
passioni del movimento unitario italiano.
Ma si pensi, per venire al Novecento, a figure come Giolitti, Churchill, de
Gaulle, saggi maestri di realismo politico. Soprattutto quando si pensa ai loro
avversari, tutti mossi da un fuorviante sacro egoismo patrio: Sonnino (prima,
difensore del «Torniamo allo Statuto»; dopo, dell’ingresso in guerra, la Prima , sul filo del colpo di
stato); Chamberlain ( patrocinatore di un’egoistica e rovinosa pace a tutti
costi con Hitler) e Pétain ( gretto profeta di un’ inesistente Francia pre-democratica
).
Perciò, Torno fa molto male a citare, come esempio di buon conservatorismo
nostrano, il marchese Alessandro Guiccioli, deputato, alto funzionario e
diplomatico dell’Italia liberale. Spirito, in realtà, profondamente
reazionario, perché nemico delle istituzioni parlamentari. E persino dei
pubblici comizi: « forma di manifestazione barbara, pericolosa, antiquata,
ingannevole», come scrisse nel suo Diario di un conservatore. Titolo, tra
l’altro, inventato a tavolino dalle Edizioni del Borghese, quando nel 1973
ripubblicarono il libro. Effettivamente poi finito, come ricorda Torno, tra gli
scaffali dei Remainders. Probabilmente perché “schifato” un po’ da tutti, anche
da liberaldemocratici e moderati, proprio per il suo taglio più reazionario che
conservatore. Per contro, Guiccioli, non poteva non essere apprezzato da
Federzoni, non meno nemico delle istituzioni parlamentari, di cui Torno cita il
necrologio. Ma questa è un’altra storia…
Più condivisibile, resta invece, il giudizio di Torno su Sergio Romano: « Si
può essere conservatori solo con l’atteggiamento critico di Sergio Romano,
ovvero salvando nel proprio spirito quegli anticorpi che consentono di non
abbandonarsi alla pigrizia mentale dei pregiudizi o di diventare banali
reazionari, di rivedere criticamente idee consolidate e di porsi tante, anzi
tantissime domande su quella cosa che in molti chiamano ancora storia» .
Giusto. Ma è appunto ciò che evita di fare Torno, quando al creativo
revisionismo storico oppone il determinismo degli egoismi umani, scivolando
così verso la deriva del conservatorismo psicologico, se non addirittura
biologico.
E questo, e non quello del titolo, è il vero paradosso del libro. Purtroppo.
Carlo Gambescia
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