venerdì 21 ottobre 2011

Riproponiamo il post di ieri, scritto a caldo, nel tardo pomeriggio. Non desideriamo, per ora, aggiungere altro sulla morte di Gheddafi. Salvo che si è trattato di un linciaggio, probabilmente, in quelle condizioni, inevitabile. Non è sicuramente una bella pagina finale... Tuttavia, noi occidentali che di teste sovrane ne abbiamo tagliate, e tante, dovremmo evitare moralismi postumi... Del resto la verità, anche in ordine alla natura ferina degli uomini, finisce sempre per vendicarsi. Andrebbe perciò evitato quel "doppiopesismo" storico e morale, magistralmente descritto da Joseph Ki-Zerbo, grande storico africano: "Quando un generale romano fa giustiziare suo figlio per motivi patriottici di disciplina pro patria, si fa passare il fatto per eroismo patriottico, quando Samori [condottiero africano del XIX secolo] fa altrettanto, si grida alla barbarie" (Storia dell'Africa Nera, Einaudi, 1977, p. 29). Probabilmente, Ki-Zerbo, se ci si perdona la divagazione, si riferisce all’episodio, riportato da Livio, del console Lucio Giunio Bruto, ottimo soldato, il quale però agli inizi del periodo repubblicano, fece condannare a morte il figlio Tullio, reo di aver appoggiato il ritorno dei Tarquini. E perciò presentato - in seguito, anche dalla storiografia moderna - come grande esempio di severità pro patria. Detto questo, va però sottolineato che il linciaggio di Gheddafi non costituisce neppure un buon inizio. Benché - principio in cui crediamo - l'osservatore intelligente degli eventi, se davvero intelligente, non debba mai dare nulla per scontato (C.G.)




“Gaddafi Killed”


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« Ho avuto sempre una simpatia vivace per il tiranno che sa essere tiranno fino alla morte… Penso che l’onestà dei farabutti sta nell’essere farabutti fino all’ultimo». (Palmiro Togliatti, “Il Lavoratore”, 8 marzo 1923)
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Gheddafi è morto. Ucciso, come riferiscono i media. Ma da chi? Dai rivoltosi? Sotto le bombe degli aerei Nato? E in quali circostanze? Combatteva? Fuggiva? In effetti però, sono informazioni secondarie. Politicamente parlando, la costruzione di una leggenda (nera o bianca che sia) su un personaggio storico, implica sempre la "reinvenzione" in base alle diverse necessità di umiliare, nobilitare, pacificare. Preferiamo perciò riflettere, anche se brevemente, su cose più importanti.
L’ uscita di scena del Colonnello comporterà pace, democrazia e progresso, come scrivono da mesi i media occidentali? Difficile dire.
Certo, la torta petrolifera non è piccola, quindi può darsi che le varie forze politiche, militari, burocratiche, tutte a sfondo tribale, riescano a trovare, in modo incruento, un utile accordo redistributivo, come dire, post-dittatura pretoriana. Molto dipenderà dall’atteggiamento dell’Occidente, e in particolare di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia: quel che andrebbe evitato è di appoggiarsi o addirittura aizzare le varie fazioni libiche, sperando, “dopo”, di poter incamerare la fetta più grossa di contratti petroliferi.
Non va neppure escluso che in Libia il vento del deserto, da solo e quindi non in conto terzi (si legga Occidente) , possa tornare a spirare forte, e con esso quello di un’anarchia “tribal-petrolifera”, all'insegna del tutti contro tutti, antica nelle affiliazioni, moderna per finalità economiche. E in quest'ultimo caso, gli europei - a maggior ragione - dovrebbero evitare di procedere in ordine sparso.
Di fatto, la Libia con la detronizzazione del Colonnello, si trova davanti a un difficile processo di transizione che impone scelte decisive. Semplificando: con Gheddafi la Libia era indipendente e laica, ma non libera e democratica, almeno dal punto di vista del costituzionalismo occidentale, adesso, senza il dittatore, può riscoprire la libertà (la libertà dei moderni…), ma rischia di perdere l’ indipendenza. La leadership libica, storicamente maturata, anche se pro o contro “con” Gheddafi, riuscirà a comprendere l’importanza della posta in gioco e muoversi con equilibrio e competenza tra indipendenza e libertà, senza scontentare nessuno?

Carlo Gambescia




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