giovedì 3 febbraio 2011

Il libro della settimana: Gerhard Lohfink, Dio non esiste, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, pp. 172, € 14,00. 


Oggi mi sostituisce l'amico Teodoro Klitsche de la Grange, ormai di famiglia. E degnamente...
Buona lettura. (C.G.)


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Esordisce l’autore, riprendendo l’incipit de “Il Manifesto dei comunisti” “ Uno spirito maligno s’aggira per l’Europa (e non solo): un ateismo battagliero che si manifesta in maniera sempre più isterica, come non era più successo dall’Ottocento in poi” (p.7). E questo proprio da quanto l’ideocrazia atea, cioè il comunismo, è crollato per implosione.
Quel che accade – è questo l’oggetto del pamphlet di Lohfink - è che tale ateismo, che si presenta sotto la maschera scientifica, in effetti si sostiene creando idola, e più ancora, sfruttando quelli esistenti: non è un pensiero, come si sente dire, né intellettualmente cogente, né ragionevole: ma è in genere fondato su veri e propri pregiudizi, non dimostrati , talvolta neppure dimostrabili, e talaltra contraddetti dai fatti. Sarebbe lungo seguire l’autore nella demolizione (neppure tanto difficile, trattandosi di argomenti – ex adverso – deboli) di questi luoghi comuni. Lohfink ne esamina otto: troppi per darne conto in una recensione.
Ma su due è il caso di intrattenersi: il primo è la pretesa di trasformare, per così dire, la scienza sperimentale (soprattutto la fisica) in metafisica (che è poi l’argomento più “forte” dell’ateismo militante): è facile rispondere come quel ragazzaccio di Pareto che, già nelle rime pagine del Trattato di sociologia generale si faceva beffe (a proposito di Ottocento) degli scientisti sui contemporanei che passavano dalla fisica alla metafisica, pensando che quanto verificato sperimentalmente fosse l’essenza, la verità dell’uomo e dell’universo.
E a darci una mano nel ricondurre il tutto alle giuste proporzioni ci sono a monte Kant e a valle Popper.
Ma tant’è: la “fallacia essenzialista” viene riproposta in continuazione non perché sia suffragata da alcuna dignità scientifica (ne è la negazione) né d’altro genere (la ragionevolezza) ma solo perché si basa su un pedestre sensismo: Dio non si vede, quindi non c’è. Al quale si può replicare che tante cose che non si vedevano, esistevano e non avevano bisogno di essere viste per essere. E proprio la scienza moderna le ha scoperte (dall’acaro della scabbia agli anelli di Saturno, alle supernove).
Quanto all’altra tesi, cara agli atei (compresi quelli metodologici) che le religioni portano la violenza nel mondo, l’autore fa notare “la violenza è sempre esistita. Esisteva già prima che sorgesse la religione. L’uomo l’ha ereditata fin dai propri antenati animali e gli animali non hanno, si sa, alcuna religione. Nel regno animale la violenza è comunque regolata e arginata attraverso un apparato di istinti”; ma tra gli uomini l’effetto ordinatore degli istinti è fortemente calato (fortunatamente perché abbiamo la libertà), “perciò, se l’uomo vuole realmente diventare uomo, ha di fronte a sé il compito di regolare i propri meccanismi di violenza ancora animali, di trasformarli e di tramutarli in corretta signoria. In questo la religione costituisce un aiuto decisivo: affermare semplicemente che la violenza sia entrata nel mondo solo con la religione rappresenta un’assurdità totale”. Ovviamente si può rispondere che spesso sono scoppiati conflitti per contrasti religiosi, ma ancor di più sono stati generati per tutt’altre cause. Dall’istinto di potere e dominio (esposto da Tucidide nel discorso degli ambasciatori ateniesi agli abitanti dell’isola di Melo), a ragioni economiche (spesso, ma non solo, negli ultimi secoli): per cui, sostenere come fanno gli sprovveduti, che rinunciando a Dio si guadagni la pace, è umoristico.
Anzi, se pur è vero che il tutto rimuoverebbe una delle cause di guerra, nessuno degli atei praticanti, che ci risulti, ha mai notato due cose: la prima che almeno il cristianesimo, ha generato un diritto internazionale – a fondamento teologico – che cerca di limitare la guerra: nelle cause, nei soggetti, nelle condotte, nei fini. E per cui dobbiamo ringraziare soprattutto i teologi-giuristi come Vitoria, Suarez, Bellarmino.
La seconda: se è vero che suscitando un forte elemento identitario la religione può individuare dei possibili nemici, cioè quelli che professando una religione diversa, sono fuori dalla comunità (e quindi diversi se non avversi) dall’altra riduce i possibili conflitti intracomunitari, dando regole e istituzioni condivise e rafforzando la coesione comunitaria, così prevenendo, riducendo, marginalizzando la violenza “interna” alle comunità (dalla rapina su, su fino alla guerra civile); ed anche la necessità di un governo troppo forte ed invadente.
Il tutto è noto, perché sostenuto a partire da Eschilo fino a Renè Girard, passando per Donoso Cortès (e tanti altri). E ignoto, a quanto pare solo all’ateismo militante.



Teodoro Klitsche de la Grange

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