domenica 1 giugno 2025

Insulti e minacce contro Giorgia Meloni. Chi semina pathos raccoglie tempesta

 


Il professore ha sbagliato. Grave errore. Grave, perché un uomo che insegna, e con studi alle spalle, ha il dovere della misura, della parola pesata, della distanza. Augurare la morte, anche solo per paradosso o provocazione, è già un abisso. Evocare poi la tragedia di una giovane -  Martina, una vita brutalmente spezzata - per colpire la figlia della prima donna politica d’Italia (almeno secondo i sondaggi), significa non aver compreso nulla né della scuola, né della politica, né degli esseri umani (*).

Tuttavia sarebbe fin troppo comodo fermarsi qui. Perché l’episodio, pur nella sua indecenza individuale, rivela un clima più vasto. In Italia, oggi, la politica ha smesso di essere confronto per diventare rappresentazione. E la famiglia, come spesso accade nei regimi simbolici, è diventata lo scudo sacro del potere.

Che il trinomio Dio, Patria e Famiglia sia il pilastro dell’ideologia di Fratelli d’Italia e dell’attuale governo di destra è cosa risaputa. Inutile insistere.

Quanto a Giorgia Meloni, basti leggere i suoi libri, le sue interviste, gli autoritratti, insomma tutta la retorica che alimenta intorno a sé, per capire che qui non stiamo parlando di un semplice Presidente del Consiglio: Giorgia Meloni è una figura costruita — e abilmente, va detto — sul racconto della maternità. Della figlia come simbolo. Della madre che combatte per “tutti i figli d’Italia”. E come ogni simbolo, andato troppo in là, anche questo si espone alla violenza delle reazioni.

Si legga, come esempio di quanto stiamo dicendo, il suo videomessaggio in occasione della Festa della Mamma, lo scorso 11 maggio.

Tanti auguri a tutte le mamme, che sono un monumento all’amore, alla dedizione, alla disponibilità e – diciamocelo – anche all’organizzazione” spiega la presidente del Consiglio. “Riuscire a mettere insieme tutto tra famiglia, vita, lavoro certi giorni sembra davvero impossibile. Però tra mille difficoltà ce la facciamo perché abbiamo testa, cuore e una forza che potrebbe sembrare sovrumana”, afferma Meloni, che aggiunge: “Essere mamma è la sfida più impegnativa ma anche la più straordinaria che la vita possa regalare. Allora grazie a tutte le mamme, perché senza di loro semplicemente non esisterebbe nulla. Buona Festa della Mamma Italia” (**)

“Ce la facciamo”. L’identificazione simbolica, ad uso politico, diciamo accelerato,  tra la Mamma di Palazzo Chigi, tutte le Mamme e l’Italia è assoluta.

Attenzione: non si tratta di giustificare il professore, ma di comprendere i meccanismi. Chi usa la dimensione privata come estensione della propria retorica pubblica — chi fa della propria famiglia un’icona politica — deve sapere che apre un fronte ambiguo e pericoloso.

Certo, occorrono decenza, educazione, freni morali. Ma la politica — e questo Meloni dovrebbe saperlo — non è mai un luogo neutro. Quando si mescolano maternità e governo, casa e Stato, non è strano che qualcuno, magari in preda a furore ideologico, travalichi. Sbaglia, ma in un sistema che alimenta la confusione tra persona e funzione.

Il professore, in fondo, è figlio dello stesso linguaggio che Meloni disprezza quando lo subisce, ma alimenta quando le conviene. Sono cose ormai tristemente note: il linguaggio del pathos, della semplificazione, del bersaglio nemico. La cultura dell’applauso e della gogna. La “guerra santa” contro l’ideologia altrui, mentre si coltiva con zelo la propria. Tutto questo si chiama  “democrazia emotiva”. Un fenomeno politico che rinvia ai populismi, ai fascismi: ai peggiori miasmi fuoriusciti dalla fogna dell’irrazionalismo novecentesco. Irrazionalismo che ha alimentato totalitarismi e dittature. Per farla breve: chi semina pathos raccoglie tempesta.

Cosa resta? Una politica “infantilizzata”, dove anche gli adulti perdono il senso della misura. Un’opinione pubblica che si indigna a comando, ma tace su questa vergognosa deriva politica. E un Paese che non distingue più tra critica e insulto, tra opposizione e demonizzazione, tra libertà e sfogo.

Il professore dovrebbe essere sanzionato. Ma anche la politica dovrebbe smettere di usare i figli come emblemi. La decenza è un dovere per tutti, non solo per i nemici.

Nei momenti difficili, l’innocenza è cosa rara. Ma chi detiene responsabilità — si pensi al Presidente del Consiglio — dovrebbe almeno pesare le parole. O, meglio ancora, scegliere il silenzio. 

Soprattutto quando, come in un film western di John Ford,  si spalanchi all'improvviso la porta non sulla prateria, ma  sul sofisticato e sofisticabile  universo dei simboli: non reliquie da campagna elettorale, ma tracce vive di una memoria che ci riguarda tutti.

Carlo Gambescia

 (*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2025/05/31/minacce-a-figlia-di-meloni-premier-denuncia-clima-malato_58e56f67-d293-4020-a98d-206d609dadca.html .

 

(**) Qui: https://www.lapresse.it/politica/2025/05/11/festa-della-mamma-il-videomessaggio-di-meloni/ .

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