domenica 8 giugno 2025

Referendum. Astensionismo a comando

 


È vero, come asserisce la destra, che la sinistra nel 2006   suggerì un atteggiamento poco partecipativo  in occasione del referendum costituzionale,  pur essendo formalmente contro la riforma in materia voluta dal centrodestra. 

Però è altrettanto vero che la destra, ad esempio nel 2011 (referendum abrogativo sul nucleare, sull’acqua pubblica e sul legittimo impedimento),  invitò a non recarsi alle urne.

Ora a prescindere dalla reazione degli elettori, in Italia sembra esistere una propensione per la seguente “quasi” regola: quando un partito sa di essere in minoranza su un tema oggetto di referendum, può incentivare l’astensione per far fallire il quorum, una mossa senz’altro lecita ma non in sintonia con l’ideologia democratica del voto come diritto e dovere. E come visto si tratta di una tentazione che ha colpito sia a destra che a sinistra a seconda della convenienza del momento.

Va però detto che dal punto di vista liberale esiste la libertà di voto e di non voto. Cioè il voto è un diritto più che un dovere. Per contro dal punto di vista dell’ideologia democratica, il voto è soprattutto un dovere.

Per il liberalismo l’individuo viene prima della comunità politica, quindi il voto ha un valore importante ma secondario; per l’ideologia democratica invece la comunità politica precede l’individuo, che con il voto conferma la sua appartenenza, di qui il valore primario del voto.

Si faccia però attenzione. Quando si parla di sistema liberal-democratico ci si riferisce a un sistema politico simbiotico (nel senso della convivenza di valori liberali e democratici) capace di tutelare sia la libertà di voto che di non voto. Quindi nessun obbligo di andare a votare, ma neppure la celebrazione dell’astensionismo, addirittura a comando.

La liberal-democrazia lascia che sia l’individuo a scegliere se recarsi o meno alle urne. Tace. Pertanto propagandare il non voto va contro  il liberalismo come contro la democrazia.

Sotto questo aspetto, quando destra e sinistra, in occasione di un referendum, invece di tacere, chiedono esplicitamente all’elettore di non votare, fuoriescono dalla liberal-democrazia, perché sminuiscono sia il liberalismo (perché la libertà di non voto deve essere comandata?), sia la democrazia (perché avvilire, sminuendo il voto, l’appartenenza del cittadino alla comunità democratica?).

A proposito dei referendum di domenica, la mossa annunciata da Giorgia Meloni – andare al seggio per poi non ritirare le schede – ha qualcosa di teatrale, anzi, di tragicomico. Un gesto che, se da un lato resta nei limiti della legalità, dall’altro rivela una sorprendente leggerezza – diciamo così – nei confronti della cultura liberal-democratica.

In fondo, che cos’è il referendum se non un momento di confronto, magari imperfetto, ma pur sempre espressione di quella “sovranità popolare” tanto cara al lessico della destra? E invece no: si recita, si strizza l’occhio ai propri eletttori, e si colpisce – con un sorriso di sufficienza – proprio uno dei meccanismi dal lato democratico della simbiosi liberal-democratica: il referendum. Altro che presidio dei valori occidentali: qui si smonta, pezzo dopo pezzo, l’impalcatura democratica che si invoca solo quando fa comodo.

In definitiva, chi punta sull’astensione come arma tattica, rivela la propria incapacità di abitare la liberal-democrazia, che vive e muore nel gesto sobrio, ma decisivo, di deporre la scheda nell’urna.

La politica italiana diventerà adulta solo quando capirà che un quorum sventato vale infinitamente meno di un consenso conquistato. La sfida vera resta sempre quella indicata dai classici del liberalismo: difendere l’individuo senza calpestare la comunità; difendere la comunità senza annichilire l’individuo.

Tradire questa lezione, a destra come a sinistra, non è solo un errore politico: è un peccato capitale contro la civiltà liberal-democratica, peccato di cui, prima o poi, si dovrà rendere conto.

Carlo Gambescia

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