Mancano ricerche sulla pratica della libertà. Cioè su come la libertà sia intesa e praticata materialmente dalla gente. Diciamo indagini sulla libertà di fatto.
A tale proposito si potrebbe anche parlare della libertà e dei suoi usi quotidiani. La maggior parte delle persone non bada alle solenni enunciazioni. Un esempio? Il dibattito sul decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, o “decreto sicurezza”, convertito in legge ieri al senato, non sembra aver sfiorato la gente comune (*).
Ma, allora, nelle nostre società ben nutrite, a quale tipo di libertà bada la gente? Semplicissimo. Libertà di secondo grado. Ecco qualche esempio: Posso andare alla partita? Posso andare al ristorante? Al cinema? Posso prendere un treno, un aereo? Posso prenotare una crociera o un pacchetto vacanze? La gente non si inalbera più per le vecchie libertà di primo grado: cibo e modo di procacciarselo, perché sono problemi ormai alle spalle.
Sotto questo aspetto il “decreto sicurezza” è un capolavoro di marginalizzazione sociale. Perché si abbatte su coloro che per la destra sono individui pericolosi: migranti, senzacasa, rom, fumatori di cannabis, detenuti, attivisti politici verdi, piccola criminalità, spesso opera di minori.
Per dirne una sola. È un’enormità che un tabaccaio, pena la chiusura dell’attività per un mese; debba chiedere il permesso di soggiorno al “bangra” che desidera comprare una carta telefonica SIM: che colore della pelle e aspetto fisico divengano una discriminate razziale-penale a vista è cosa contraria al concetto di rispetto della dignità umana.
Però, ecco il punto, il “bianco” non è toccato da misure del genere, quindi quella libertà quotidiana di cui dicevamo non muta. Perciò se ne frega (pardon).
L’abilità della destra, che nasce elitaria, è di riuscire a isolare e colpire un ristretto gruppo di vittime sociali, tramutate in capro espiatorio. E, ecco il capolavoro, in mondo indolore per i "normali". Per i quali la libertà materiale, quotidiana, non cambia. Anzi, come da mantra, grazie alle “misure del governo” migliorerà. Classica tesi legge e ordine, tipica della destra.
Esiste un punto di rottura? Sicuramente non è nel rumoroso sit-in della sinistra, ieri al Senato. Tra l’altro, subito dipinto dalla destra “dei perfettini” come fonte di cattivo esempio. Perché il buon cittadino non disobbedisce mai…
Non è facile stabilirlo. Si potrebbe risalire alle misure prese durante l’epidemia Covid: niente cinema, niente ristorante, niente automobile, eccetera. In quel momento la gente comune si sentì privata della libertà.
Qual è il succo del nostro discorso. Che il “decreto sicurezza” restringe la libertà ma solo per una ristretta fascia di predestinati sociali (secondo la destra ovviamente): migranti, senzacasa, rom, fumatori di cannabis, detenuti, attivisti politici verdi. Tutti gli altri, i “normali” – la maggioranza silenziosa – non avvertiranno alcuna differenza. La loro libertà – la libertà pratica – non cambierà.
Fino a un certo punto però. Perché nel “decreto sicurezza” c’è una norma che può avere sviluppi pericolosi, e per tutti: quella del cosiddetto Daspo urbano. Misura che tecnicamente risale alla figura marginale dell’ultras calcistico, di regola un facinoroso, escluso per periodi più o meno lunghi dalla frequentazione degli stadi. Tra l’altro libertà concreta… Non si dimentichi che di regola l’ultras è malvisto dal tifoso "normale", come una specie di “zingaro” del tifo... Sicché il cerchio sociologico dei "devianti" dalla "normalità", per così dire, si chiude.
Che cosa accade con il Daspo urbano? Che il questore, quindi misura amministrativa, può vietare l’accesso a stazioni e aree di trasporto a coloro che risultano denunciati o condannati nei 5 anni precedenti. La cosa merita un approfondimento.
Secondo l’articolo 13 del decreto, il Daspo urbano può essere applicato a individui che, nei cinque anni precedenti, siano stati denunciati o condannati (anche con sentenza non definitiva) per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi in aree interne e pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime, mezzi di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano. La durata del divieto di accesso varia in base alla gravità del reato e alla recidiva: fino a 12 mesi per i casi meno gravi Da 12 mesi a 2 anni se l’individuo è stato condannato (con sentenza definitiva o almeno in appello) negli ultimi 5 anni per reati contro la persona o il patrimonio (*).
Si pensi a cosa potrebbe accadere se il Daspo urbano, sempre in via amministrativa, vecchia idea dei sindaci leghisti e post missini, fosse esteso compulsivamente a scuole, strutture scolastiche, università, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali, aree adibite a verde pubblico, presidi sanitari, aree destinate a fiere, mercati e pubblici spettacoli.
La pericolosità è nel fatto che il decreto prevede che il divieto di accesso possa essere imposto anche in presenza di una semplice denuncia, evidenziando un approccio preventivo alla sicurezza urbana. Cioè viene meno la presunzione di innocenza.
Il che significa che basterà denunciare che tizio sia membro di qualche gruppo ecologista, ong pro immigrati, eccetera, per sottoporlo a controlli di polizia.
Inutile sottolineare la pericolosità di un approccio del genere che punta semplicemente a criminalizzare il dissenso. Che, però, ecco il punto, per la gente comune, quella che si fa i “fatti propri” non è tale. O lo diverrà solo quando il Daspo sarà esteso a cinema, ristoranti, crociere, eccetera…
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.senato.it/leggi-e-documenti/disegni-di-legge/scheda-ddl?did=59201
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