venerdì 6 giugno 2025

Trump e l’arte del disordine

 


“Oddio, adesso cosa ha combinato?”. Questo, crediamo, il pensiero ricorrente di tante persone, un po’ in tutto il mondo, ogni volta che nella copertina del telegiornale appare l’immagine di Trump.

Non abbiamo dati che confermino quanto appena detto, però, riteniamo – ovviamente in modo impressionistico – che il magnate americano, con i suoi improvvisi cambi di direzione, sia riuscito ad accrescere i livelli di instabilità sociale, come crescente stato di incertezza verso il futuro, non solo nella politica vera e propria, ma anche tra la gente comune. In una parola, Trump si veste sempre da disordini.

Si dirà che la nostra è una specie di scoperta dell’acqua calda. Probabilmente è così. Però se la politica è costante e razionale riduzione del peso dell’ incertezza, quindi dell’irrazionalità (che poi vi si riesca o meno è altra cosa), la riduzione della politica a moltiplicatore dell’incertezza cambia totalmente le regole del gioco, premiando l’irrazionalità rispetto alla razionalità.

Insomma minacciare un’invasione militare, cambiare idea ogni ventiquattro ore su amici e nemici, usare i dazi come esche provvisorie per perseguire fini non chiari, gridare al complotto un giorno sì e l’altro pure, sono tutti atteggiamenti che favoriscono lo sviluppo di un clima di instabilità politica e sociale.

Non solo però. L’instabilità, come vero e proprio dominio di variazioni repentine dell' umore politico, evoca, soprattutto nella gente comune, la figura del “risolutore”, di colui che risolve il problemi andando per le spicce. Un tempo si chiamava tiranno.

Per capirsi. Trump, che di per sé è un prodotto dell’instabilità americana, creatasi dopo Obama, frutto, tra le altre ragioni, di una reazione razzista al primo presidente nero della storia americana, Trump, dicevamo, semina l’instabilità per perpetuare il suo potere. Si noti il continuo riferirsi alla situazione di emergenza, che imporrebbe scelte drastiche, eccetera, eccetera.

Da ultimo, si pensi allo scontro con Elon Musk: non è un elemento di divisione interno alla presidenza Trump, cioè lo è ma non è questo il punto. La frattura tra i due accresce l’instabilità ma anche l’alone di risolutore che riluce intorno alla figura di Trump. Sotto questo aspetto Musk è un perdente.

L’idea interessante è quella del governo dell’incertezza da parte di chi usa l’incertezza per governare. Nel nostro caso Trump.

Come prendere le misure a un essere diabolico a due teste che punta sull’incertezza come mezzo di lotta e di governo, per usare un’espressione politica italiana? Insomma che promette di risolvere problemi che lui stesso crea? E qui si pensi solo alla questione dei dazi, esempio di emergenza creata a tavolino.

Il vero problema Trump è rappresentato dal suo rifiuto della politica come sforzo razionale per ridurre al sfera dell’irrazionale. E qui ritorniamo al nostro incipit, del telespettatore preoccupato che si interroga timoroso sulle ultime decisioni di Trump.

In definitiva, la “lezione” di Trump va oltre la stessa politica americana, dal momento che è il sintomo di una crisi più profonda, che scuote l’Occidente: il punto è che   si scorge nell’instabilità non più un rischio da gestire, ma uno strumento deliberato di governo. 

Si prospera nella confusione, alimentandola, per fregiarsi del titolo, come dicevamo, di salvatori della patria. Per questo motivo, ogni apparizione di Trump suscita inquietudine: quella “mano” sarà piuma o “fero” per dirla con il Mario Brega reinventato da Carlo Verdone?

Fermo restando un fatto: che dietro l’ultima trovata si cela sempre la stessa strategia, trasformare l’irrazionalità in metodo e l’incertezza in potere.

Carlo Gambescia

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