lunedì 29 luglio 2024

Totalitarismi veri e falsi…

 


Ci prova oggi Alessandro Campi sul “Messaggero”: non merita alcun commento personalizzato. Banalità di estrema destra, mascherate sotto una leggerissima mano di vernice aroniana. Che fatica. E solo per entrare nella cabina di comando di un dinosauro. De minimis non curat praetor

Il nocciolo della questione è l’equiparazione che alcuni intellettuali, in particolare di destra, conio meloniano, diciamo, fanno tra il totalitarismo ideologico, istituzionalizzato (il lettore prenda nota del termine), ad esempio nazista e comunista, e quello di un movimento di opinione, Woke, che, sostanzialmente, propugna una rilettura della storia in chiave femminista, lgbitqsta eccetera.

Si rifletta: da una parte abbiamo velenose ideologie storiche che hanno provocato miliardi di morti, dall’altro un movimento, qualcosa che è in formazione (anche qui il lettore prenda nota), e che per ora si muove, sul piano, come detto, del movimento d’opinione, sebbene in qualche sede istituzionale abbia trovato ascolto ( si pensi, ad esempio alla rilettura parigina dell’Ultima Cena ).

Secondo alcuni osservatori, soprattutto di destra, la forma mentis fondamentalista, accomunerebbe ad esempio, un comunista, un islamista, un wokista. Soggetti che inquadrano, si ripete, solo un lato della realtà, quello della purezza della classe, della religione, delle ingiustizie sociali e razziali verso donne, gay, neri,

Il monoteismo ideologico – e questo è vero – può essere molto pericoloso, persino quando si esprime a livello di movimento, di un attore sociale  in cerca  di legittimità istituzionale. 

In pratica, e non è solo una battuta, il vero pericolo si evidenzia quando il rivoluzionario si tramuta in carabiniere:  quando il movimento diventa istituzione. E per il movimento Woke, nonostante le esagerazioni della destra,  non siamo ancora a questo punto. 

Per inciso, la dinamica movimento-istituzione è una regolarità metapolitica. E' il sale sociologico.  E' inevitabile.  Nel senso che caratterizza, con altre costanti metapolitiche, gli ultimi cinquemila anni di comportamento politico e sociale.

Qui sorgono due problemi.

Il primo rinvia alla natura della società liberale, che deve distinguere, proprio perché tale, tra movimenti e istituzioni. Massima libertà per il movimento delle idee, contrasto invece, verso la pericolosa istituzionalizzazione di una sola idea, come di un solo movimento di opinione. Di una sola “offerta” culturale diciamo.

Il secondo rimanda alla differenza tra una società totalitaria e una società liberale. Non viviamo, almeno per ora, nell’Italia di Mussolini, nella Germania di Hitler, nella Russia di Stalin, eccetera, quindi è giusto che ognuno possa esprimere le sue idee.

Perciò silenziare il movimento woke, come pretendono i fondamentalisti di destra (perché di questo si tratta), evocando il totalitarismo,  significa solo concedere percioloso  spazio a un altro totalitarismo, ad esempio cristiano. Che ha dato ben altre prove di tipo istituzionale, peggiori del wokismo, movimento che rispetto a duemila anni storia del cristianesimo è ai primi vagiti, ammesso e non concesso che sia tale.

Insomma, da un parte c’è un totalitarismo (non parliamo solo degli eccessi del cristianesimo) vero, fondato, storico, dall’altro un totalitarismo retorico, narrativo, come si dice oggi, una specie di fantasma che la destra agita per cecità ideologica.

In realtà, la vera minaccia per la società liberale è rappresentata non dalla rilettura gay dell’Ultima Cena, ma dal ritorno di concezioni totalitarie, in crescita ovunque, che in passato hanno dimostrato, con passo ferrato, di essere tali. Altro che tritoni e drag queen…

Il movimento woke, non si contrasta con la censura istituzionale, ma con un altro movimento di idee, altrettanto sociologicamente appetibile. Detto altrimenti: diversificando l’offerta. E invece che si fa? Poiché il  fascismo, o comunque un bieco conservatorismo politico e sociale sfociante nella reazione,  non è   altrettanto appetibile sul piano culturale, si vuole ricorrere per un verso all’inganno, per la serie “al lupo al lupo”, e per l’altro all’uso della forza, per tramutare ciò che offende in ciò che vilipende. Detto altrimenti: il cattivo gusto (secondo alcuni) in reato (secondo altri).

Secondo la destra il wokismo rischia di trasformarsi in totalitarismo, anzi già sarebbe totalitario. Non vediamo però intorno a noi campi di concentramento e sterminio. Anche perché resta complicato togliere di mezzo la stragrande maggioranza dell’umanità. Né scorgiamo un testo sacro “wokista”, per così dire, capace di vendere tuttora miliardi di copie come il Mein Kampf. Tra l’altro autentico best sellers nel mondo islamico. Né infine "duci" e compagnia cantante.

Certo un vero liberale, deve sempre tenere gli occhi aperti. Però, ecco il punto, di veri liberali in circolazione ce ne sono pochi. Di qui quel conflitto tra wokisti e antiwokisti, che è tutto eccetto che liberale. Il che, in effetti, è molto pericoloso. Perché nel conflitto, le posizioni si estremizzano, viene fuori il peggio, eccetera, eccetera.

Pertanto, fin quando non si uscirà da una contrapposizione, inutile perché i veri nemici del liberalismo sono all’esterno (ad esempio, russi e cinesi, ), si favorirà una strategia, delle divisioni in campo nemico, che poi sarebbe il nostro, divisioni che invece favoriscono i veri nemici dell’Occidente. E che non hanno nulla a che vedere con il pluralismo liberale.

Per usare una formula: pluralismo e tolleranza all’interno, monismo, anche militare, se occorre all’esterno. Non il contrario.

Ecco il nocciolo della questione. Che la destra non potrai mai capire, perché “totalitarista” dentro, quindi monista verso tutti

Carlo Gambescia

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