mercoledì 24 luglio 2024

Il fascismo come culto privato (e altre cosette)

 


Cari amici lettori, Fratelli d’Italia ha sposato la causa liberale. Per bocca (non solo) di Ignazio La Russa, seconda carica dello stato, il giornalista della “Stampa”, preso calci da alcuni facinorosi di estrema destra, doveva qualificarsi.

La stessa tesi è sostenuta a proposito delle frasi antisemite, tralasciando inni fascisti e saluti romani, “rubate” da un giornalista a un gruppo di giovani iscritti alla Gioventù Nazionale di Fratelli d’Italia.

Cosa vogliamo dire? Che il culto del fascismo si è fatto privato. La “religione” come questione coscienziale. Il fascismo, come una qualsiasi scelta religiosa, è diventato un fatto di coscienza. Insomma testimoni di Geova e testimoni di Mussolini. Stessa cosa. Un classico del pensiero liberale.La Russa come Tocqueville.

Le “celebrazioni” sono fatti di natura privata e i giornalisti si devono “qualificare”. Anzi essere invitati. Il fascismo non è più ideologia pericolosa, ma una fede privata. Che tutti hanno il diritto di professare. In privato.

Che poi questa gente meni e voti è solo un piccolo dettaglio.

Per gli smemorati: “L’ Asso di Bastoni” – il nome del ritrovo milanese – rimanda al titolo di una testata neofascista, letta dai più facinorosi, che usciva tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Capito l’excursus storico-filologico? Di che panni si vestono costoro?

Notazione di viaggio. Anzi due.

In un comune del Nord mi sono ritrovato, gomito a gomito, a comprare il giornale, con una signora di una certa età, dall’aspetto illetterato, che, tutta ispirata, ordinava il libro di Vannacci. Un regalo forse? Ancora peggio allora… Come ha giustamente sostenuto il giovane amico che mi accompagnava.

Seconda notazione. I treni, nelle due versioni, pubblica e privata (privata si fa per dire), fiori all’occhiello, si diceva e si dice, del fascismo, non funzionano: ritardi di quattro-cinque ore. Giorgia Meloni, la bisnipote, è un fallimento anche in questo. Il che non significa che serva il fascismo per far funzionare i treni. Basta una cosa che si chiama libera concorrenza. Vera però.

Ma la cosa più brutta è la gente. Che subisce passivamente. Il personale del treno si nasconde. A parte una specie di Mago di Oz, che chiuso in cabina annuncia i ritardi. Motivo? Alcune “presenze estranee” sui binari. Che vuol dire? Il vampiro? Un gruppo di zombies? Son tornati i ragazzi della via Pàl…

Quando poi i treni   si  sfasciano e si giunge a destinazione con cinque ore di ritardo ci si ritrova  in un Roma laicissima, come asserisce il sindaco Gualtieri, ma prigioniera –  questo non lo dice – del combinato disposto tra preti e costruttori. Cemento e aspersorio.  Detto altrimenti:  traffico  tipo Dakar niente metro, taxi invisibili e autobus come carri bestiame…

Quindi, a fronte di tutto questo, che sono due ore di ritardo? Perciò sul treno si ride, si fanno battute. Come i comici televisivi. Ormai la scuola è questa, si ride di tutto. Oppure, mentre i cretini ridono, altri restano per ore al cellulare a consumare i loro imbrogli. Si salvi chi può insomma…

E se uno osa dire mezza parola. Trova pure i Tafazzi che difendono le Ferrovie.

Così vanno le cose.

Carlo Gambescia

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