sabato 3 settembre 2022

La natura tragicomica del Price Cap

 


La scelta del Price Cap, in Italia particolarmente sponsorizzata da Draghi, rivela tutta la debolezza di una strategia, americana ed europea, che spera di battere la Russia con la guerra economica, per evitare la guerra vera e propria.

Il che a qualche anima bella può anche apparire lodevole. Purtroppo le cose non stanno così.

Si traccheggia, si spera che la Russia si stanchi, mentre la situazione economica, non solo in Occidente, peggiora. Per ora, sono messe in atto, un poco ovunque (persino negli Stati Uniti di Biden), le seguenti politiche: 1) di scostamento di bilancio (tradotto: crescita della spesa pubblica); 2) di controllo verso l’alto dei tassi di sconto (tradotto: denaro più caro); 3) di sanzioni economiche verso la Russia, di cui il Price Cap è l’ultimo, per ora, prolungamento (tradotto: si comprerà meno energia dai russi).

Non si deve essere economisti, per capire che queste tre politiche favoriscono la stagflazione (stagnazione produttiva + inflazione).

Va anche detto che il Price Cap è una misura dirigista, tecnicamente difficile da attuare (perché vanno registrate e centralizzate una per una le operazioni di vendita e acquisto). Una misura che tra l’altro apre la porta al razionamento (perché inevitabilmente le quantità di petrolio e gas acquistate decrescono).

Cosa sta succedendo allora? Che l’Occidente subisce tutte le conseguenze di uno stato di guerra – quindi in qualche misura è in guerra – senza però essere “dentro” una guerra vera e propria, con i soldati sul campo, eccetera, eccetera. Le sanzioni economiche, ammesso e non concesso che funzionino, sono una specie di costosa bolletta morale che cresce di giorno in giorno, e che l’Occidente paga per concedersi il lusso di ossequiare le dottrine pacifiste.

Purtroppo il rischio è che alla lunga i sacrifici economici imposti dai continui omaggi all’ideologia pacifista favoriscano l’indebolimento interno, se non addirittura il crollo dei sistemi liberal-democratici.

Si rifletta. La Russia, in quanto sistema autocratico, non va incontro a rischi del genere. Non ha problemi di consenso. Forse solo una dura sconfitta militare in Ucraina potrebbe rimettere in discussione la leadership putiniana. Fermo però restando il carattere, ideologico, sistemico, se si vuole strutturale, dell’imperialismo russo. Perciò una sconfitta localizzata potrebbe anche non bastare.

Sicché allo stato delle cose qualsiasi cambiamento in Russia anche solo di regime (non di sistema) è impossibile, dal momento che l’Occidente non ha preso in considerazione l’intervento diretto nella guerra in Ucraina. Per ora, si limita a una specie di limitatissima guerra per procura, quasi di facciata, di cui però inevitabilmente non si intravede la fine.

In sintesi, la guerra economica, produce tutti i danni della guerra tout court, senza però essere risolutiva. Detto altrimenti: le privazioni per i cittadini sono le stesse della guerra, ma per così dire a fondo perduto. Si sacrificano le proprie popolazioni civili nella speranza che le popolazione civili del nemico abbiano minori capacità di resistenza. Il che, come detto, nel caso dei russi, da sempre abituati a essere trattati, se ci si passa l’espressione, a chiacchiere e distintivo, resta ipotesi remota. Insomma, per capirsi, la Russia non è Cuba o un qualunque staterello canaglia.

Perciò il Price Cap ha natura tragicomica. Tragica perché prolunga la guerra economica, con tutte le conseguenze negative del caso per l’Occidente, meno coeso socialmente e politicamente. Comica, perché, non può non strappare sorrisi se non addirittura risate a chi sappia come stanno veramente le cose.

Purtroppo, l’attendismo pacifista dell’Occidente rischia di trasformarsi, viste le maggiori capacità di resistenza “morale” dell’autocrazia russa, in un effetto boomerang capace di ritorcersi sul consenso ai regimi liberal-democratici, già divenuti anno dopo anno (precisazione non secondaria) regimi liberal-socialisti, quindi traditori dei valori autenticamente liberali.

Ci spieghiamo meglio.

Quando il consenso non è più esito di una sincera adesione ai valori di libertà, da difendere anche con le armi, come poteva essere all’indomani della vittoria nel 1945 sul nazifascismo, ma solo opportunistica ricerca della sicurezza sociale, quanto più quest’ultima viene meno tanto più il consenso decresce. È matematica sociale.

Le classi politiche occidentali sembrano aver dimenticato che non si vive di solo pane. E che talvolta le guerre sono inevitabili. Sempre che, pur di durare, non preferiscano cedere alla volontà di potenza del nemico russo. Il che, potrebbe avere anche una sua ragione, per quanto pessima, esistenziale.

Il punto è però che le sanzioni economiche, da ultimo il Price Cap, non vanno nella direzione della pace come della guerra. Prolungano una specie di agonia economica stagflazionista che invece di indebolire la Russia rischia di minare l’ Occidente.

Qui il vero problema.

Carlo Gambescia

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