domenica 9 febbraio 2020

Riflessioni (anche su Sanremo)
Il sociologo e la gente

Il titolo del nostro  articolo riprende quello di un libro importante di José Ortega y Gasset, L’uomo e la gente (El Hombre y la Gente, "Obras", VII),  e non per caso.   Chi scrive  ha però sostituito il sociologo all’uomo.  E in un senso preciso.  Chi studia la  gente come inquadra la gente? Che  tipo di rapporto  ha con  la gente?
Ma prima di tutto cos’è  la “gente” per Ortega?  La gente è “chi dice quel  che si dice”.  La gente, la società, la collettività,  sono tali “nella misura in cui io penso e parlo, non per mia propria ed individuale evidenza, ma ripetendo quel che si dice e si discute, la mia vita cessa di essere mia, cesso di essere il personaggio individualissimo che sono, agisco per conto della società: sono un automa sociale, sono socializzato” (*) .
E quel che “si dice”,  non è buono né cattivo, è… Esiste, fa la storia, talvolta suo malgrado e al contrario.  Pertanto il sociologo deve sempre  indirizzare le sue antenne  verso “chi dice quel che si dice”: la gente.
E qui viene il bello, perché il punto è proprio il "come". Quale atteggiamento deve assumere il sociologo verso la gente? Dal momento che quel che “si dice” raramente risponde al criterio di verità (in senso scientifico, del capire), ma a quello dell’opinione (in senso sociale, del credere)? 
A grandi linee si danno tre casi.
Può assumere un atteggiamento di superiorità, di chi la sappia lunga sulla “gente”, una posizione,  per così dire, scientifico-cinica, del genere “ da che mondo è mondo…”.  Oppure sposare l’atteggiamento di  chi voglia   aiutare la “gente” a conoscere meglio se stessa, quindi a cambiare, distinguendo tra opinione e verità. Siamo dinanzi a  una posizione di tipo scientifico-riformista,  sulla falsariga del “possiamo migliorare tutti insieme”. Infine, il sociologo può assumere l’atteggiamento di chi, scambiando la verità con una delle tante opinioni in discussione,  voglia imporla  alla “gente” per il “suo bene”. Siamo davanti  a una posizione di natura scientifico-rivoluzionaria,  del tipo  “fidatevi di noi perché cambieremo il mondo”.

Per fare qualche nome, Ortega  gravita per tutta la vita tra il cinismo scientifico e il riformismo scientifico. Max Weber resta l’esponente classico del riformismo scientifico, come Pareto del cinismo scientifico,  Marx, il Marx sociologo suo malgrado, rimane il massimo esponente di una sociologia scientifica e rivoluzionaria al tempo stesso.
Chi scrive -  tanto per essere onesti -  si sente, a metà strada tra  Weber e Pareto, in qualche misura assai vicino  a Ortega (si parva licet…).
Però  in concreto cosa significano questi tre atteggiamenti? Facciamo un esempio banale: il Festival di Sanremo.
Per  il sociologo cinico la “gente” da che mondo e mondo si è sempre divertita in modo semplice se non volgare, quindi non c’è nulla di strano che si facciano le due di notte, per sapere con andrà  a finire il Festival.
Per il sociologo riformista, Sanremo invece può essere un ottimo veicolo per trasmettere valori capaci di migliorare la “gente”.  Quindi serietà e tutti a letto alle undici di sera.
Per il sociologo rivoluzionario, Sanremo non è altro che una  versione dell’oppio dei popoli, quindi va cancellato dal palinsesto,  tutti a letto alle nove di sera.
Come il lettore avrà compreso la cattiva sociologia ha un versante pedagogico che va assolutamente evitato.  Oggi, purtroppo, la sociologia  serve due padroni:   o il braccio disarmato del welfare state o quello armato della  rivoluzione.  La  “gente” o viene coccolata o catechizzata. Ovviamente anche l'approccio cinico non aiuta  perché spesso porta con sé il disprezzo per la "gente". Però probabilmente fa meno danni degli altri due approcci.
Che altro dire?  Hic sunt leones.    

Carlo Gambescia                   


(*) Josè Ortega y Gasset, L’uomo e la gente, Giuffrè, Milano 1978, p. 153.