martedì 25 giugno 2019

La morte di Francesco Ginese
L’illegalità e i suoi amici


Che cos’è illegalità?  La risposta a prima vista  è semplice,  il contrario della legalità. E che cos’è la legalità?  È agire come prescrive la legge. Di riflesso, chiunque violi la legge è fuori della legalità.
Certo, le leggi possono essere ingiuste  sotto il profilo del senso comune, ad esempio di un’idea, nobile e  condivisa,  di solidarietà. Si pensi al sindaco di Riace, che perseguendo una logica umanitaria ha derogato alla legge  in nome dei  più alti principi di giustizia.  L'intera  storia della filosofia del diritto è ricca di esempi del genere. Tutti elevatissimi.
Tuttavia la società, per quanto entità dinamica,  come  struttura istituzionale, proprio per essere tale, impone il rispetto delle leggi.  I comportamenti stabili,  produttivi di fiducia,  facilitano le relazioni sociali  e  la certezza  collettiva.  Fattori  che consentono al singolo  di  ritenere - semplificando -   che quel che accade oggi, accadrà anche  domani. La legalità è una  forma di stabilità sociale. Ma,  prima di tutto,  una forma mentis,  come ora vedremo.
A questo pensavamo a proposito della tragedia della Sapienza, dove un giovane di ventisei anni, Francesco Ginese (nella foto),  ha perso la vita nel tentativo di scavalcare il muro di cinta per partecipare a una festa - sembra un rave -  non autorizzata dal Rettore.
Il fatto che un  brillante neolaureato in economia, di buona famiglia, con un posto  di lavoro che lo attende -   insomma,  non un disadattato -   penetri nottetempo nella città universitaria,  violando la legge,  dovrebbe far riflettere.

E su  cosa in particolare?  Su come il concetto di legalità abbia ormai  toccato il fondo. Ovviamente, la responsabilità di questo processo degenerativo  non è del giovane  che materialmente ha scavalcato il muro, e neppure degli organizzatori della festa e dei vertici dell’università e della polizia che avrebbero dovuto per tempo intervenire.  Sono tutti, utilizzatori finali, sociologicamente parlando. Allora di chi è la responsabilità, in primis, sociale?
Del sistema due pesi due misure.  Ovvero  di una mentalità  culturale, oggi assai diffusa,  che consiste  nel giudicare legale o meno quel che più giova politicamente. Per essere più precisi, alla base del gesto del giovane, punto terminale di una catena  micro-macro dell’illegalità costituita, c’è la politicizzazione della legalità. O  se si preferisce, la mancata neutralizzazione sociale del diritto.   
Parliamo di  un processo che discende dalla  crisi del concetto di  potere come autorità neutrale. Una crisi che ha le sue origini,  non solo nel Sessantotto,  ma  nell'attacco al  liberalismo giuridico che risale all'ascesa dei  totalitarismi fascisti e comunisti.



L’effetto di ricaduta di questa crisi è rappresentato, come forma di mentalità culturale,  dalla diffusione della presunzione sociale  e politica  che la legge sia al servizio dei potenti, e che dunque violarla sia una forma di giustizia sociale.    
Ora,  esistono  casi, come dicevamo a proposito di Riace,  in cui la violazione della  legalità impone (quanto meno) problemi di coscienza, perché sono in gioco più alti di principi di giustizia. Ma, quando nella quotidianità,  si scavalcano muri, si organizzano feste  nella certezza  che  nessuno interverrà, significa che ormai  si vive  in un micro-clima di illegalità,  diffusa e condivisa.
Ora, la magistratura dovrà accertare le responsabilità  giuridiche e penali della morte del giovane.   Parliamo però della stessa magistratura  che  sta dando spettacolo, sempre in questi giorni,  di inaudità faziosità e divisioni un tempo impensabili?   Per non parlare dell'uso a singhiozzo politico delle "intercettazioni ambientali" che invece di restare chiuse nei cassetti escono dalle Procure per finire sui giornali.

E la politica?  Salvini ha subito condannato i centri sociali e le autorità accademiche.  Ma,  se la serata fosse stata organizzata da qualche gruppo di estrema destra,  il Vice Presidente del Consiglio, di sicuro,  si sarebbe  ben guardato dal condannare.  Per contro,  la sinistra, che si mostra garantista, ben altro atteggiamento avrebbe assunto  se la festa non autorizzata  fosse  stata gestita dai neofascisti. Salendo in cattedra, avrebbe subito chiesto misure esemplari nel nome della Resistenza.
Insomma,  magistratura e politica da anni ormai danno il cattivo esempio. E le istituzioni pubbliche e sociali seguono  a ruota.  Si chiamano processi emulativi, nel bene come nel male. In definitiva,  gli amici dell’illegalità sono tanti, forse troppi.
Se le cose in Italia vanno così, che mai può succedere se si scavalca, nottetempo,  un muro?   Ecco ciò che avrà pensato  Francesco Ginese prima di arrampicarsi.  E morire.

Carlo Gambescia