venerdì 21 giugno 2019

Come argomenta Salvini
Le parole del  Capitano

Salvini, il Capitano, come lo chiamano i suoi, si fa capire dalla gente comune. Altro che i vecchi politici...  
Ecco il ritornello  ripetuto da analisti e commentatori di tutte le tendenze.  
Esisterebbe,insomma, un populismo argomentativo, che può riassumersi  nel fatto di dire  le cose pane al pane  vino al vino .  Espressione, quest’ultima,  veteropopulista, che, evidenzia il comportamento, di chi in ogni circostanza si esprima con franchezza e senza timore reverenziale per nessuno. 
Il "panepanevinismo", per capirsi, rimanda sociologicamente, alla semplicità di parole e costumi, del catonismo, del  pauperismo cristiano, del moralismo operaio, dell'antiberlusconismo azionista.   
Ha un fondo manicheo, perché oppone il   principio  cognitivo dell’indifferenziato a  quello  della diversità. Bene contro Male:  da un lato i semplici dall’altro i difficili; da un lato il popolo dall’altro le élite, per dirla in chiave populista.
La ricerca della semplicità implica  inevitabilmente sotto il profilo retorico  l’uso dell’ argumentum ad hominem e dell’argumentum ad judicium.  Due formule argomentative, ovviamente fallaci, ma   semplici e comprensibile da tutti. 
Facciamo due esempi.
Nel corso di  un dibattito televisivo  sul ruolo dei professori, alla contestazione  di una professoressa che gli  rimproverava  di essere intollerante verso un valore importante  come la  diversità,  il  Vice Presidente del Consiglio  ha risposto  riconducendo   le critiche della docente sotto  la  categoria  "docente di sinistra".  L’argumentum ad hominem è il seguente:  è una docente di sinistra,  dunque  una dottrinaria (che indottrina),  ergo non può fare bene il suo lavoro. Salvini si comporta come certi avvocati  mediocri che per difendere o attaccare una testimonianza sfavorevole aggrediscono la credibilità   morale del testimone, 

Un’ altra formula tipica del discorso salviniano è  ripetere  che a lui piace quel che piace agli italiani. Qui siamo davanti all’argumentum  ad judicium, o argumentum ad populum,  cioè alla pretesa  che una tesi sia corretta perché difesa da un gran numero di persone. Anche qui,  si prescinde volutamente  dai contenuti e dal rigore logico, dalla qualità insomma,  per privilegiare  la forza illogica del numero, la quantità. 
Riassumendo, nel primo caso, argumentum ad hominem, si contesta non l’affermazione ma l’interlocutore stesso. Nel secondo caso, argumentum  ad judicium,  si attribuisce la validità, o l' autorità,  di un' affermazione in base al numero degli interlocutori che la condivide.

Naturalmente a queste  due principali forme di fallacia argomentativa, Salvini  affianca l’uso diffuso  di alcune figure retoriche:  l’apostrofe (l’appello agli italiani traditi dai politici); la personificazione (l’Italia che lo avrebbe chiamato - lui Salvini - a più  alti compiti); la preterizione (il sottolineare senza ammettere di sottolineare: “Non sto qui a dire quanti italiani erano presenti  al mio comizio”).
A ciò  vanno  sommati, altri aspetti etnometodologici interessanti: la gestualità salviniana (tipica del “capo”, sicuro di sé), il modo di abbigliarsi (paramilitare o comunque semplice e ugualitario), il ricorso al basso continuo della superstizione popolare (come l’uso politico del santo rosario).  Aspetti che qui comunque non tratteremo.    
Concludendo, come si può vedere il repertorio argomentativo e retorico  di Salvini è piuttosto ridotto. Ma la sua forza è proprio in questo. È ridotto come quello della stragrande maggioranza della gente. Il che spiega il suo successo. Povertà  culturale che abbraccia altra povertà culturale.
Questa retorica dell'intransigenza, per giunta fallace, non ha nulla a che vedere con il dibattito pubblico liberale fondato sulle forme della  transigenza  e  sul rapporto causa-effetto tra conoscenza e deliberazione. Del resto, a  Salvini  di tutto ciò  non importa un fico secco. Per dirla, anche noi, per una volta,  pane al pane vino al vino.

Carlo Gambescia