Cara donna Mestizia,
cinque anni fa, nel
giorno del mio cinquantesimo compleanno, il responsabile Risorse Umane della
mia azienda mi inviò un sms così concepito (l’ho fatto ingrandire e
incorniciare, ce l’ho sotto agli occhi):
“Gentile
Collaboratore, come lei sa, la crisi economica non ha risparmiato il settore di
mercato nel quale opera la nostra Azienda. Le comunico pertanto che si è deciso
di ristrutturare alcune posizioni, tra le quali quella da lei occupata.
Rammentandole le clausole sulla riservatezza da lei sottoscritte al momento
dell’assunzione, e augurandole un pronto reinserimento, la saluto cordialmente.
Suo dr. K. Iller. P.S.: L’ufficio va sgombrato entro le ore 17.55 di stasera.”
Lì per lì ho
accusato il colpo, e confesso che sono precipitato in una depressione clinica
devastante, ma grazie al sostegno della mia famiglia e del mio psicoterapeuta,
che mi ha prescritto un regime accuratamente bilanciato di ansiolitici,
antidepressivi ed eccitanti, sono riuscito a reagire. Dando fondo a risparmi ed
energie, ho aperto una società di consulenza alle imprese nei campi di mia
competenza, e ho gradualmente costruito un portafoglio clienti di tutto
rispetto (tra i primi clienti, la mia ex Azienda). Nel giro di un paio d’anni,
però, ho dovuto accorgermi che lavoravo sempre di più e guadagnavo sempre di
meno. Da un canto, la generale contrazione dell’attività economica diminuiva
non solo i miei introiti, ma le stesse occasioni di lavoro; dall’altro, le
spese correnti, il costo del credito bancario e del personale benché precario,
la tassazione, non facevano che aumentare. Tagliato tutto il tagliabile, per
praticare prezzi concorrenziali e restare a galla ho dovuto sempre più spesso
lavorare in nero.
Ieri l’altro, giorno
del mio cinquantacinquesimo compleanno, ho ricevuto una lettera dell’Agenzia
delle Entrate nella quale mi si informa, in buona sostanza, che mi hanno
beccato. Ho cercato consiglio presso il commercialista, mio caro amico fin dai
tempi del liceo. Però, se gli telefono in studio la sua segretaria (assai
attiva nella parrocchia frequentata anche dalla mia famiglia) nega recisamente
di conoscere il mio nome; se gli telefono a casa, la domestica filippina (che
vive in Italia da venticinque anni) mi risponde in tagalog, i suoi figli
(compagni di scuola dei miei) mi dicono che ho sbagliato numero, e sua moglie
(con la quale vissi, in tempi migliori, una torrida vicenda erotica
clandestina) appena sente la mia voce mi ribatte seccata che no, non vuole
abbonarsi a Sky; e bruscamente riattacca. Lui, naturalmente, ha cambiato il
numero del cellulare personale.
Le scrivo questa
lettera alla fine di un lungo pomeriggio di meditazione, trascorso qui, nel mio
studio deserto, nella sola compagnia di una bottiglia di pregiato whisky di
malto, di due telefoni ai quali ho provveduto a tagliare il filo, e di tre
computer che mi sono tolto il capriccio di sbriciolare a martellate. Al mio
cellulare parla, in questo momento, la famigliola di pesci giapponesi che abita
l’acquario, e che immagino profitti dell’insperata occasione per rinsaldare i
legami con la numerosa parentela rimasta nel Paese del Sol Levante; tanto poi,
quando gli arriva la bolletta possono sempre fare seppuku.
Ma torniamo a noi.
Tirate tutte le somme, sono giunto a una conclusione incontrovertibile: che a
me, i compleanni portano sfiga. Ho pertanto deciso di smetterla: smetterla di
compiere gli anni, voglio dire. Con il martello utilizzato per disintegrare i
computer ho sminuzzato e polverizzato tutti gli psicofarmaci della mia
farmacopea, ricavandone una bomba nucleare chimica più che sufficiente a
catapultarmi nel più inaccessibile e lontano degli Aldilà. Ma un attimo prima
di trangugiarlo scolandoci sopra il resto della bottiglia di whisky, un dubbio
mi ha trattenuto: e se facessi la figura del pirla? Ho notato, infatti, che
mentre nei primi tempi della crisi i media davano notevole risalto alla figura
dei suicidi per ragioni economiche assortite, da un po’ di mesi questa nuova
figura sociale, che pure stava assumendo una sua centralità simbolica, è per
così dire arretrata sullo sfondo della scena sociale, o addirittura sparita
dietro le quinte, nei camerini fiocamente illuminati dell’anonimato.
Insomma: e se non
fosse più di moda, suicidarsi? Raggiungi dopo un vivace dibattito interiore la
sofferta decisione, organizzi accuratamente la cerimoniale messa in scena
dell’addio al mondo crudele, dedichi un lungo “labor limae” al messaggio
finale, reprimi con un soprassalto di volontarismo la ribellione dei tuoi
“animal spirits”, spegni gli ultimi dubbi, sormonti le residue esitazioni, e
finalmente, là! ti suicidi. Ma se poi il giorno dopo esce la notiziola sul
quotidiano locale, chi è morto giace e chi è vivo si dà pace, e l’epitaffio
definitivamente scolpito sulla tua avventura terrena è: “Che pirla”? Sarò
vanitoso, ma un po’ mi seccherebbe. Lei che ne pensa?
Più Di Là Che Di Qua
2013
Caro Più Di Là Che Di
Qua 2013,
dia retta a me:
certe cose non passano mai di moda. Un conto è l’effimero, superficiale brillio
delle voghe e delle passioni più o meno artificiali, un conto i valori veri,
consolidati da tempo immemorabile: che difatti, nonostante tutte le smemoratezze
e gli appannamenti, presto o tardi tornano sempre di moda. Veda ad esempio
negli abiti: dopo la sciocco gusto per i giacconi supertecnici da commandos,
non è tornato di moda il buon vecchio loden? E se oggi il loden sembra ricaduto
nel dimenticatoio, stia tranquillo che prima di quanto si pensi tornerà a
ricoprire le spalle degli uomini di buon senso, e a campeggiare - fra gli
osanna - sulle prime pagine dei giornali. Vada, vada per la sua strada! Come
dice il poeta, non si curi di lor, ma guardi e trapassi.
P.S. Ricordo a Lei e
ai Suoi eredi che il Suo abbonamento a questa rubrica non è rimborsabile a
seguito del Suo decesso. Qualora Ella ritenesse opportuno favorirmi con
informazioni riservate raccolte nella Sua prossima destinazione, Gliene sarò
grata. Sono certa di interpretare le Sue (ultime) volontà garantendoLe che
l’eventuale compenso per dette informazioni Le sarà corrisposto a mezzo non
fiori, ma opere di bene.
Roberto Buffagni è
un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo
fondamentalista, musiche di
Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli.
Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del
Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...
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