Polemiche
A proposito dell'uso giornalistico del termine "casta"
I lettori si saranno accorti da un pezzo, che nei nostri
post, soprattutto se legati alla politica italiana, non usiamo il termine
“casta”. Perché?
In primo luogo, perché si tratta di un vocabolo che rinvia ad altre situazioni storiche, ad esempio all’India della tradizione indù. Un contesto completamente diverso da quello dell’’Italia repubblicana. Insomma, non ci piacciono, le imprecisioni storico- lessicali. A nostro avviso, i due giornalisti del Corriere della Sera che hanno “lanciato” il termine casta, avrebbero invece dovuto parlare di oligarchia in senso politico e sociologico (dal greco, oligoi, "pochi", più un derivato di arché, "comando"), come di un regime politico in cui il potere è esercitato da pochi, in proprio favore, e a danno della maggioranza dei cittadini. La casta (dal latino castus, "puro"), invece, rinvia concettualmente a una classe ristretta di persone che per razza e/o religione, come nell’India tradizionale, forma un gruppo sociale chiuso con uffici e privilegi particolari.
In secondo luogo, usarlo in quest’ultima chiave, vuol dire assegnare al termine una valenza prepolitica e pre-sociologica: il membro della casta viene automaticamente considerato un razzista. E si sa, oggigiorno i razzisti, per non dire dei “fanatici religiosi, sono praticamente fuori dei giochi politici.
Pertanto parlare di “casta”, a proposito dei politici italiani, significa andare a scandagliare i fondali più pericolosi dell’immaginario collettivo italiano, con il rischio di risvegliare qualche gigantesco mostro marino... Che cosa vogliamo dire? Che il termine casta risveglia negli italiani quell’odio popolare, spesso giustificato, per le classi dominanti e ricorrente nella storia dell’Italia moderna, assumendo talvolta derive ribellistiche e/o giustizialiste, da Masaniello ai movimenti che hanno cavalcato politicamente Mani Pulite. Il che, ovviamente, non implica da parte nostra, il rifiuto di criticare le “oligarchie” economiche e politiche oggi dominanti. Ma solo un invito a non scherzare troppo con il fuoco.
Chissà perché, poi, non si usa il termine “oligarchia”, di sicuro più appropriato? Probabilmente perché meno suggestivo, dal punto di vista della fenomenologia delle idee-forza. E dunque per nulla evocatore di scenari post-coloniali, come il termine casta. Ma anche per un’altra ragione.
In primo luogo, perché si tratta di un vocabolo che rinvia ad altre situazioni storiche, ad esempio all’India della tradizione indù. Un contesto completamente diverso da quello dell’’Italia repubblicana. Insomma, non ci piacciono, le imprecisioni storico- lessicali. A nostro avviso, i due giornalisti del Corriere della Sera che hanno “lanciato” il termine casta, avrebbero invece dovuto parlare di oligarchia in senso politico e sociologico (dal greco, oligoi, "pochi", più un derivato di arché, "comando"), come di un regime politico in cui il potere è esercitato da pochi, in proprio favore, e a danno della maggioranza dei cittadini. La casta (dal latino castus, "puro"), invece, rinvia concettualmente a una classe ristretta di persone che per razza e/o religione, come nell’India tradizionale, forma un gruppo sociale chiuso con uffici e privilegi particolari.
In secondo luogo, usarlo in quest’ultima chiave, vuol dire assegnare al termine una valenza prepolitica e pre-sociologica: il membro della casta viene automaticamente considerato un razzista. E si sa, oggigiorno i razzisti, per non dire dei “fanatici religiosi, sono praticamente fuori dei giochi politici.
Pertanto parlare di “casta”, a proposito dei politici italiani, significa andare a scandagliare i fondali più pericolosi dell’immaginario collettivo italiano, con il rischio di risvegliare qualche gigantesco mostro marino... Che cosa vogliamo dire? Che il termine casta risveglia negli italiani quell’odio popolare, spesso giustificato, per le classi dominanti e ricorrente nella storia dell’Italia moderna, assumendo talvolta derive ribellistiche e/o giustizialiste, da Masaniello ai movimenti che hanno cavalcato politicamente Mani Pulite. Il che, ovviamente, non implica da parte nostra, il rifiuto di criticare le “oligarchie” economiche e politiche oggi dominanti. Ma solo un invito a non scherzare troppo con il fuoco.
Chissà perché, poi, non si usa il termine “oligarchia”, di sicuro più appropriato? Probabilmente perché meno suggestivo, dal punto di vista della fenomenologia delle idee-forza. E dunque per nulla evocatore di scenari post-coloniali, come il termine casta. Ma anche per un’altra ragione.
La parola oligarchia rinvia a quel brodo culturale
prefascista (anti-parlamentare e spiccatamente nazionalista), che tra Ottocento
e Novecento, produsse una ideologia antidemocratica di cui si appropriò il
fascismo, che amava appunto definirsi, soprattutto a suoi inizi diciannovisti,
come movimento politico anti-oligarchico.
Di qui il grande pudore ( o furbizia?) di Stella e Rizzo… I quali si sono appunto ben guardati dall’usare il termine oligarchia, per evitare disdicevoli corrispondenze. Tuttavia la parola casta è entrata nell’uso giornalistico, politico e comune. Sembra infatti molto gradita agli italiani. Perché solletica certo “ribellismo” di fondo.
Di qui il grande pudore ( o furbizia?) di Stella e Rizzo… I quali si sono appunto ben guardati dall’usare il termine oligarchia, per evitare disdicevoli corrispondenze. Tuttavia la parola casta è entrata nell’uso giornalistico, politico e comune. Sembra infatti molto gradita agli italiani. Perché solletica certo “ribellismo” di fondo.
Il che, come la storia italiana insegna, può essere molto
pericoloso.
Carlo Gambescia
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