Campagna elettorale
Sinistra e idea di patria
Non si può non restare sorpresi a proposito del ritorno
di “amor patrio” che sembra animare la campagna elettorale. Soprattutto
all’interno di certa sinistra riformista, ben rappresentata da Veltroni. In
fondo lo scontro sulla questione Alitalia indica due diverse idee di patria. A
destra, di chiusura verso l’esterno; a sinistra, di apertura al confronto. Come
dire: nazionalismo (economico) contro spirito di nazionalità (universalista). O
se si preferisce: Corradini contro Mazzini. In realtà, le cose sono molto più
complesse.
Probabilmente alla base del fenomeno c’è il passato settennato di Ciampi, a dire il vero molto patriottico. Ma anche quello, “in corso” di Napoletano. In realtà il patriottismo “di sinistra” - quello che qui ci intressa discutere - ha sempre avuto motivazioni controverse. Per almeno due ragioni. Vediamo quali.
In primo luogo, la moderna idea giacobina di nazione armata, come momento della verità, dove solo chi va in battaglia, diventa cittadino a tutti gli effetti, arrivò in Italia con le truppe di Napoleone, e scomparve con la sua sconfitta . Il Risorgimento ebbe i suoi patrioti eretici, come ad esempio, Pisacane, Mazzini, e più tardi Battisti e Salvemini. I quali cercarono di conciliare nazione e internazionalismo, privilegiando però l’idea di patria. Mentre il socialismo di Treves e Turati, per non parlare del comunismo togliattiano, rimase largamente internazionalista. Mussolini cercò, a modo suo, di unificare socialismo e nazione, con risultati non proprio esaltanti, soprattutto sul piano di una politica estera, inutile nasconderlo, imperialistica e infine rovinosa.
Ragione per cui, e in secondo luogo, l’idea di patria della sinistra nasce soltanto nel 1948, conla Costituzione Repubblicana. Insieme al mito
politico della Repubblica nata dalla Resistenza. Una necessità ben riassunta,
sul piano iconografico, anche dal tricolore, che si scorgeva appena, sotto la
bandiera rossa con stella, falce e martello, nel vecchio vessillo
politico-elettorale del Pci.
Ora, sarebbe lungo discutere del 1943-1945, come la fase storica in cui invece si indebolisce l’idea stessa di nazione italiana. Un principio, quello di patria, che per essere interiorizzato ha necessità di continuità generazionale: servono secoli, non decenni. Se per il Fascismo, l’esperienza del ventennio, doveva essere il coronamento dell’unità italiana, perla Resistenza , nelle sue
varie componenti (anche di sinistra), la dittatura fascista avrebbe dovuto
rappresentare l’autobiografia negativa della nazione: una “tradizione al
contrario”, da seppellire. E così fu. Ma di qui anche la necessità di
riconoscersi in una nuova idea di patria, capace di recepire insieme, l’idea di
libertà e i valori dell’internazionalismo.
Dietro tale scelta c’era chiaramente l’umanitarismo marxista e cattolico. Che puntò sul culto di una Costituzione capace di conciliare nazione e diritti dell’uomo, ma a danno della prima. Un testo “lungo”, molto sensibile ai diritti sociali e di libertà. Un “dettato” di grande nobiltà di intenti. Che tuttavia, come è facilmente dimostrabile, è stato spesso fonte più di divisioni che di unità. E purtroppo di ipocrisie. Proprio perché privo di radici collettive profonde.
Prendiamo ad esempio il famoso articolo 11 dei Principi Fondamentali: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. La sinistra, soprattutto quella radicale, lo usa tuttora per criticare qualsiasi scelta di politica estera, che solo lontanamente possa essere riferita a un conflitto. Il punto è che la guerra non può essere eliminata per legge. L’uomo è quel che è… E così, pur di non violare formalmentela Costituzione , il
centrodestra ha definito missione di pace il nostro intervento in Iraq. Una
forma di ipocrisia accettata anche dalla sinistra, come quando D’Alema appoggiò
la guerra Nato nel Kosovo
Allora, come definire l’idea di patria della sinistra? Molta ipocrisia, una tradizione inventata e non interiorizzata da tutti gli italiani, e qualche karaoke politico-sindacale il “1 Maggio”. Invece andrebbero riannodati i fili della storia d’Italia. Tutti. Prendere atto degli errori, delle pagine tristi, ma anche di quelle belle ed eroiche. Ad esempio, sembra che la vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale non sia mai esistita… Insomma, non si può costruire un’idea di patria a metà. Mettere i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. E tenerli lì per sempre, in punizione.
Probabilmente alla base del fenomeno c’è il passato settennato di Ciampi, a dire il vero molto patriottico. Ma anche quello, “in corso” di Napoletano. In realtà il patriottismo “di sinistra” - quello che qui ci intressa discutere - ha sempre avuto motivazioni controverse. Per almeno due ragioni. Vediamo quali.
In primo luogo, la moderna idea giacobina di nazione armata, come momento della verità, dove solo chi va in battaglia, diventa cittadino a tutti gli effetti, arrivò in Italia con le truppe di Napoleone, e scomparve con la sua sconfitta . Il Risorgimento ebbe i suoi patrioti eretici, come ad esempio, Pisacane, Mazzini, e più tardi Battisti e Salvemini. I quali cercarono di conciliare nazione e internazionalismo, privilegiando però l’idea di patria. Mentre il socialismo di Treves e Turati, per non parlare del comunismo togliattiano, rimase largamente internazionalista. Mussolini cercò, a modo suo, di unificare socialismo e nazione, con risultati non proprio esaltanti, soprattutto sul piano di una politica estera, inutile nasconderlo, imperialistica e infine rovinosa.
Ragione per cui, e in secondo luogo, l’idea di patria della sinistra nasce soltanto nel 1948, con
Ora, sarebbe lungo discutere del 1943-1945, come la fase storica in cui invece si indebolisce l’idea stessa di nazione italiana. Un principio, quello di patria, che per essere interiorizzato ha necessità di continuità generazionale: servono secoli, non decenni. Se per il Fascismo, l’esperienza del ventennio, doveva essere il coronamento dell’unità italiana, per
Dietro tale scelta c’era chiaramente l’umanitarismo marxista e cattolico. Che puntò sul culto di una Costituzione capace di conciliare nazione e diritti dell’uomo, ma a danno della prima. Un testo “lungo”, molto sensibile ai diritti sociali e di libertà. Un “dettato” di grande nobiltà di intenti. Che tuttavia, come è facilmente dimostrabile, è stato spesso fonte più di divisioni che di unità. E purtroppo di ipocrisie. Proprio perché privo di radici collettive profonde.
Prendiamo ad esempio il famoso articolo 11 dei Principi Fondamentali: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”. La sinistra, soprattutto quella radicale, lo usa tuttora per criticare qualsiasi scelta di politica estera, che solo lontanamente possa essere riferita a un conflitto. Il punto è che la guerra non può essere eliminata per legge. L’uomo è quel che è… E così, pur di non violare formalmente
Allora, come definire l’idea di patria della sinistra? Molta ipocrisia, una tradizione inventata e non interiorizzata da tutti gli italiani, e qualche karaoke politico-sindacale il “1 Maggio”. Invece andrebbero riannodati i fili della storia d’Italia. Tutti. Prendere atto degli errori, delle pagine tristi, ma anche di quelle belle ed eroiche. Ad esempio, sembra che la vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale non sia mai esistita… Insomma, non si può costruire un’idea di patria a metà. Mettere i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. E tenerli lì per sempre, in punizione.
Carlo Gambescia
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