Nuove Manie
La laurea ad honorem
Il ministro Mussi, titolare dell’Università e della
Ricerca, ha detto basta. Alla centesima laurea ad honorem in sei mesi,
finalmente, ha preso posizione. La lista dei neodottori famosi è piuttosto
lunga, e include i nomi persino di Peppino di Capri, Vasco Rossi, Arrigo
Sacchi, Valentino Rossi. E poi tanti, troppi imprenditori: magari nomi non
molto conosciuti, ma che, guarda caso, di solito finiscono per contribuire
finanziariamente a qualche progetto universitario, privato o pubblico…
Insomma, come al solito si è ecceduto. E probabilmente si è toccato il fondo nel giugno scorso col discorso postdottorale di Valentino Rossi: uno spot per l’Università di Urbino (in fondo un marchio di birra, pardon universitario, come un altro…) con tanto di grazie alla mamma, ai professori e agli amici per essere arrivato primo. Mancava solo un bel “viva la foca” conclusivo…
Ma perché si eccede? In primo luogo, conferire una laurea ad honorem al personaggio famoso, significa richiamare attenzione mediatica sull’università che addottora. In secondo luogo, come ho già accennato, i rapporti con le imprese sono importanti, soprattutto in tempi di strisciante privatizzazione dell’università. E un imprenditore laureato (ad honorem) è un imprenditore mezzo comprato… Non nel senso corruttivo e penale del termine, ci mancherebbe. Nel 99,99 per cento dei casi si tratta di lauree già guadagnate sul campo del lavoro. Ma la laurea serve sicuramente a mettere il neodottore nelle condizioni di spirito giuste per sviluppare, come si legge in un recente studio, quelle “cospicue sinergie tra mondo della cultura e delle professioni”.
E poi c’è una terza ragione. Siamo italiani e molto borghesi: il titolo di dottore, non solo piace, ma entusiasma… Amiamo la pompa, il tocco, le toghe, i fotografi, le televisione, la presenza di mamma e papà, se ancora vivi e vegeti. Vuoi mettere quel mezzo minuto di gloria, che non dispiace neppure a chi la gloria o magari una laurea l’ha già raggiunta da un pezzo…
Ma così cresce anche il mercato delle illusioni… Perché, stando alle statistiche, laurea ad honorem o meno, quattro laureati su cinque trovano lavoro solo grazie alle conoscenze familiari. E probabilmente proprio per questo sette laureati su dieci, di estrazione alto-borghese, continuano la professione paterna…
Insomma, come al solito si è ecceduto. E probabilmente si è toccato il fondo nel giugno scorso col discorso postdottorale di Valentino Rossi: uno spot per l’Università di Urbino (in fondo un marchio di birra, pardon universitario, come un altro…) con tanto di grazie alla mamma, ai professori e agli amici per essere arrivato primo. Mancava solo un bel “viva la foca” conclusivo…
Ma perché si eccede? In primo luogo, conferire una laurea ad honorem al personaggio famoso, significa richiamare attenzione mediatica sull’università che addottora. In secondo luogo, come ho già accennato, i rapporti con le imprese sono importanti, soprattutto in tempi di strisciante privatizzazione dell’università. E un imprenditore laureato (ad honorem) è un imprenditore mezzo comprato… Non nel senso corruttivo e penale del termine, ci mancherebbe. Nel 99,99 per cento dei casi si tratta di lauree già guadagnate sul campo del lavoro. Ma la laurea serve sicuramente a mettere il neodottore nelle condizioni di spirito giuste per sviluppare, come si legge in un recente studio, quelle “cospicue sinergie tra mondo della cultura e delle professioni”.
E poi c’è una terza ragione. Siamo italiani e molto borghesi: il titolo di dottore, non solo piace, ma entusiasma… Amiamo la pompa, il tocco, le toghe, i fotografi, le televisione, la presenza di mamma e papà, se ancora vivi e vegeti. Vuoi mettere quel mezzo minuto di gloria, che non dispiace neppure a chi la gloria o magari una laurea l’ha già raggiunta da un pezzo…
Ma così cresce anche il mercato delle illusioni… Perché, stando alle statistiche, laurea ad honorem o meno, quattro laureati su cinque trovano lavoro solo grazie alle conoscenze familiari. E probabilmente proprio per questo sette laureati su dieci, di estrazione alto-borghese, continuano la professione paterna…
Insomma, la società italiana è bloccata e classista più
che mai. E se non si appartiene alla classe giusta la laurea da sola non basta.
Ma questa è un'altra storia.
Carlo Gambescia
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