venerdì 29 dicembre 2006


Chiesa Cattolica
Tra istituzione e movimento




Vogliamo andare oltre le polemiche attuali e parlare della Chiesa Cattolica in termini sociologicamente più profondi?
Bene, molti osservatori applicano alla Chiesa Cattolica gli schemi che di solito si usano per interpretare le strategie di una multinazionale della fede. Ora, indubbiamente la Chiesa è anche questo, ma non può assolutamente essere “solo questo”. In occasione dell’ ultimo Conclave, quasi si trattasse di un consiglio di amministrazione, si parlò della Chiesa, e soprattutto sulla stampa, esclusivamente in questi termini.
L’elezione del nuovo papa, Benedetto XVI, venne perciò presentata come la nomina di una specie di nuovo amministratore delegato. Come del resto tuttora accade a ogni nomina di alti prelati, come nuovi “consiglieri”, nuovi “funzionari al centro di chissà quali nuove strategie aziendali…
Indubbiamente vi è del vero. La Chiesa è istituzione: è “struttura”. E quindi necessita di forme organizzative: diciamo che ha bisogno, come tutte le istituzioni sociali, di uomini “vocati”, quadri, risorse, strategie, e soprattutto di un “vertice” all’altezza della situazione. Pertanto ogni nuovo Papa, non può non fare i conti con la dura realtà di ogni istituzione: reperire risorse, gestirle e aumentarle. Se un istituzione non si sviluppa, non cresce ma regredisce, rischia di sparire o comunque di contare sempre meno.
Quindi ogni Papa (e a maggior ragione Benedetto XVI, vista la carenza di risorse materiali e umane della Chiesa attuale), deve innanzitutto essere un buon organizzatore, o comunque in grado di circondarsi di capaci amministratori. Di qui il ruolo che indubbiamente può essere giocato nella vita della Chiesa da quei gruppi più strutturati, e dotati sotto il profilo organizzativo di mezzi, uomini e risorse. E qui basti ricordare l’influenza di cui dispongono il ricco cattolicesimo americano e organizzazioni molto ben strutturate come l’Opus Dei.
Ma la Chiesa, come già abbiamo detto, non è solo una multinazionale della fede: un’istituzione sociale, politica, economica, eccetera, ma è anche una forza o un “movimento“ (storico, o metastorico, secondo i punti di vista…), che risponde, come dire, alla fame di fede e ubbidienza, insita negli uomini. In che senso? In primo luogo, lo è in senso dottrinario. In due millenni di storia ha mostrato di essere capace di propugnare un principio ideale, restandovi fedele, e al tempo stesso di saper innovare, e perciò di aprirsi o“muoversi” in senso discendente, andando incontro alle aspettative di fedeli affamati di purezza, secondo un piano d’azione più generale. E qui basti pensare alla cosiddetta Riforma Cattolica, come “movimento” di recupero teologico e pastorale, durato alcuni secoli, che ha preceduto e superato, la Riforma protestante. Lo stesso conflitto, che ritorna spesso nella storia della Chiesa, tra innovatori e tradizionalisti, non è che il segno più evidente della sua vitalità “movimentista“. In secondo luogo, la Chiesa è anche movimento in senso strettamente sociologico. E qui sia sufficiente ricordare i numerosi movimenti socio-religiosi, affamati di ubbidienza a un ordine spontaneo, puro e senza leggi, che spesso hanno storicamente favorito il rinnovamento “istituzionale” della Chiesa. E nulla impedisce, che in futuro, vista la grande partecipazione, che il “wojtylismo” dei giovani possa trasformarsi in un movimento di “riforma” o comunque in uno dei tanti importanti gruppi di pressione interni alla Chiesa.
A questo punto ci si chiederà: con Bendetto XVI prevarranno le ragioni delle istituzioni o del movimento? Indubbiamente è presto per dare un giudizio sul suo pontificato, appena gli inizi. Si possono però fornire gli strumenti per capire. Di sicuro, come altre volte nella storia, anche con Benedetto XVI sussiste la possibilità di giungere a una sintesi di entrambe le tendenze. Tra i movimenti che invocano la purezza e le istituzioni che devono purtroppo “sporcarsi” le mani, pur tra alti e bassi, se persiste un’unità di fondo, prima poi si finisce sempre per trovare un punto di accordo. Ma può accadere anche il contrario: tutto dipenderà da quel che farà il nuovo Papa. E Ripetiamo: è ancora presto per giudicare.
Se mostrerà di essere un capace “organizzatore“, prevarranno gli interessi delle istituzioni: avremo una Chiesa più allineata ai potenti, in particolare agli Stati Uniti e alle linee guida dell’economia capitalistica. Questo non significa però più conservatrice sotto il profilo teologico, tuttavia nemmeno lo si può esclude completamente. Una Chiesa troppo “organizzata” potrebbe aumentare le sue risorse materiali, ma anche perdere quel patrimonio spirituale rappresentato dai fedeli, e da quel che risveglio, o fame di ubbidienza, che oggi si nota soprattutto tra i giovani.
Se invece mostrerà di essere un Papa “movimentista”, avranno la meglio gli interessi dei movimenti: avremo una Chiesa più spiccatamente pacifista, meno allineata agli Stati, e al “capitale”, ma probabilmente con minori risorse e mezzi economici. Anche la scelta movimentista non implica però, in modo automatico, scelte progressiste sotto il profilo teologico e pastorale. La realtà dei movimenti ecclesiali è piuttosto diversificata: tutto è possibile, dalla scelta tradizionalista a quella, per così dire, no global.
Quel che occorre è un Papa che sia al tempo stesso organizzatore e movimentista: uomo delle istituzioni e uomo dotato di grande carisma. Come movimentista, dovrà essere capace di rappresentare “tutte” le diverse realtà, e come organizzatore dovrà reperire risorse e gestirle, edificare, evangelizzare, eccetera, senza transigere sui principi.
Di sicuro - e ammesso che Benedetto XVI lo desideri - gli sarà difficile imitare Wojtyla: un Papa così capace di fondere in sé e rappresentare le ragioni delle istituzioni e dei movimenti. Sotto questo aspetto il suo è stato un pontificato straordinario: al centro politico, in senso alto. Comunque sia, resta particolarmente pericoloso per ogni Papa privilegiare solo una delle due ragioni. Da questo punto di vista non vanno sottovalutate anche le forti pressioni esterne. Può apparire, molto “dietrologico“, ma gli Stati Uniti, che non rimpiangono affatto Paolo Giovanni II, stanno sicuramente cercando di fare il possibile, tra le quinte, per influenzare Benedetto XVI in senso filoamericano.
Il terzo rischio perciò, per Bendetto XVI, oltre a quello di trasformarsi in Papa solo organizzatore o solo movimentista, è quello, e mi scuso per l’espressione forte, di indossare le sacre vesti del cappellano di Bush, o comunque del prossimo presidente degli Stati Uniti.
Un problema di “politica estera”, che purtroppo, riguarda tutti, anche gli atei, e perfino i neo-pagani. La cui soluzione è probabilmente più importante, dei pur non secondari problemi, legati alla questione dei pacs o dell’eutanasia.
Carlo Gambescia

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