venerdì 21 luglio 2006



Medio Oriente
E la chiamano democrazia... 




Possono democrazia e pace fiorire sulla punta delle lance, o più modernamente su quella dei cingoli dei carri armati?
Quel che sta accadendo in Medio Oriente dovrebbe far riflettere. Lo stato di Israele, che è presentato come l’ avamposto della democrazia occidentale nel mondo arabo, ha invece invaso il Libano, agendo alla stessa stregua di uno stato totalitario novecentesco.
Ma quel che è più sorprendente è la fede che, purtroppo, destra e sinistra dimostrano nella democrazia dei cingolati. Ci spieghiamo meglio.
Spesso si legge sui grandi giornali di opinione (dal Corriere della Sera a Repubblica e Stampa, per non parlare del Foglio e del Riformista) che in Medio Oriente sta nascendo una “nuova era democratica“. Per non parlare di quel che dichiarano in proposito certi politici...
La marcia della democrazia sarebbe perciò inarrestabile. Molti citano, come esempio, le passate elezioni irachene. Altri la democrazia consolidata israeliana. Altri ancora, almeno fino a un mese fa, la “rinascita” democratica del Libano…
Ora, delle due l’una: se una “marcia” è “inarrestabile” non c’è bisogno del "cingolato", se invece è “arrestabile”, allora sì. Ad esempio, se il popolo iracheno si sta convertendo spontaneamente alla democrazia a che serve l’ "aiutino" del carro armato a stelle e strisce ? Lo stesso discorso può essere valido per il popolo libanese e palestinese.
Al nostro quesito politicamente scorretto, ma logicamente fondato, di solito si risponde sostenendo che il vero problema non è se la democrazia possa fiorire o meno sulla punta delle lance, ma piuttosto se la democrazia possa essere fermata dalla punta delle lance… Dal momento - come sottolineano i seguaci della democrazia introdotta manu militari - che non si può permettere che il mandato del popolo iracheno o libanese possa essere bloccato a mano armata dai terroristi. Di conseguenza – proseguono i "difensori della libertà"- per quanto difficile si possa presentare complessa la situazione in Iraq o in Libano, andrebbe ribadito che è in atto un processo di democratizzazione interna. Un processo che la “comunità internazionale democratica” dovrebbe perciò appoggiare. Non solo: si sostiene pure che le forze di sinistra dei paesi occidentali dovrebbero sostenere la politica della democrazia universale, come punto-chiave del “progetto politico progressista”. E qui, a titolo di esempio, basta leggersi gli articoli di Beck, Giddens, e Timothy Garton Ash, regolarmente pubblicati su Repubblica, la punta di diamante giornalistica del “progetto politico progressista” italiano, per riprendere l’espressione di Giddens. Facendo così però si sorvola su come sia cominciato il processo democratico in Iraq (e ora in Libano), e soprattutto non si chiarisce bene che cosa sia la democrazia. Certo, a parole la si identifica con le antenne paraboliche, i telecomandi, il mercato, il cittadino informato … ma ci si guarda bene dal connetterla con la libertà autentica: quella di dire no a qualsiasi intromissione straniera. Certo, sempre meglio di un rodomonte tipo Saddam. Ma allora è questione di punti di vista, e non di marce inarrestabili…
Infine, se proprio di “nuova era” si deve parlare, va pure detto che l’unico "nuovo" in giro è quello della saldatura ideologica tra una destra pseudoliberale e una sinistra postsocialdemocratica. In fondo, un ex socialdemocratico come Giddens, dice più o meno le stesse cose, del mezzo repubblicano pseudoliberale Fukuyama: tra progetto politico “progressista” e “conservatore” le differenze sono minime, se non proprio inesistenti.
E la chiamano democrazia. Sì, sulla punta delle lance. O dei cingolati. 

Carlo Gambescia

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