venerdì 9 dicembre 2005


La morte di Paolo Sylos Labini 
Un economista eretico?  





La notizia della morte di Paolo Sylos Labini (1920-2005) non può che rattristare tutti coloro che ne apprezzavano le capacità teoriche, scientifiche, espositive e la grandissima verve polemica, negli ultimi anni rivolta particolarmente contro Berlusconi (si veda ad esempio l'interessante e per certi aspetti divertente, "Un paese a civiltà limitata", libro-intervista pubblicato nel 2001 per i tipi di Laterza).
Del resto sono ancora oggi molto importanti i suoi studi sulle tendenze oligopolistiche del capitalismo, sui rapporti tra sviluppo e progresso tecnico, sui ceti medi; volumi ricchi di osservazioni interessanti e di senso storico e sociologico. Si può ritenere che Sylos Labini sia stato dopo Pareto il primo economista italiano a occuparsi seriamente dell' evoluzione delle classi medie.
Quel che però non convince, e basta dare un'occhiata ai "coccodrilli" apparsi ieri sui giornali, è la pretesa di considerarlo un eretico. Su questo giudizio non si può essere d'accordo. Perché?
In primo luogo, Sylos Labini fu allievo negli Stati Uniti di Schumpeter, grande e tragico profeta (ma anche apologeta) del capitalismo. Un'esperienza che lasciò su di lui segni indelebili. Infatti, fin dai primi suoi lavori (cfr. la voce "investimenti", nel "Dizionario di economia" a cura di Napoleoni - 1956, pp. 765-793), Sylos Labini, sulla scia di Schumpeter, non si è mai stancato di ripetere che il capitalismo, pur con le sue manchevolezze (burocratizzazioni, oligopoli, rendite parassitarie) resta sempre il migliore dei mondi possibili: l'unico scenario economico capace di favorire gli investimenti e dunque di promuovere lo sviluppo umano nella democrazia.
In secondo luogo, anche l'importanza che nella sua opera ha assunto l'innovazione teconologica "creatrice" in rapporto allo sviluppo non solo sociale ma produttivo, testimonia quanto l'interpretazione schumpeteriana del capitalismo, come forza creatrice e distruttrice al tempo stesso, abbia pesato sullo sviluppo del suo pensiero.
In terzo luogo, il problema dell' innovazione resta in lui legato, come del resto anche in Schumpeter, a quello della funzione imprenditoriale. Di qui la sua critica alle forme di imprenditoria semipubblica, parassitarie e nemiche delle regole di mercato, che secondo l'economista italiano, sono splendidamente illustrate, e per sempre racchiuse, nella "Ricchezza delle Nazioni" di Adam Smith.
In quarto luogo, il rapporto Sylos Labini-Marx è piuttosto controverso. L'economista italiano ne sempre ammirato più la sociologia che l'economia (il collegamento tra economia capitalista e classi sociali), ma di Marx non ha mai condiviso due tesi: quella sulla caduta del saggio di profitto e quella sull' impoverimento bipolare delle classi sociali.
Ora, proprio per queste ragioni (sostanzialmente: il muoversi teoricamente all'interno della visione schumpeteriana del capitalismo), Paolo Sylos Labini non può essere considerato un eretico. O comunque non nel senso che oggi viene dato a questo termine. Detto in breve Sylos Labini è per la "crescita" e non per la "decrescita". Tutta la sua opera è un elogio dell' innovazione produttiva e dello sviluppo economico infinito, come solo strumento per redistribuire la ricchezza.
Questo spiega, ma è solo una curiosità, perché la bibbia dell'economia eterodossa il "Biographical Dictionary of Dissenting Economists" (Elgar 1992, 2000 www.e-elgar.com) non gli abbia dedicato alcuna voce.

Dispiace ma è così. 

Carlo Gambescia

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