Che cosa distingue una classe politica da un’altra? Parliamo di una classe politica all'altezza, ovviamente.
Presto detto: il senso della misura. Il saper capire ciò che si può e ciò che non si può fare rispetto alle risorse disponibili: economiche, morali, sociali. Diciamo politiche in senso riassuntivo delle tre appena ricordate.
Per limitarsi al Novecento, Stalin non ebbe alcun senso della misura, impose ai russi un’industrializzazione forzata e si alleò con Hitler, facilitandone gli scopi militari, ignorando o sottovalutando che poi l’invasione sarebbe toccata alla Russia. Naturalmente questo è un caso limite.
Senso della misura significa senso della realtà. L’Italia del dopoguerra, a guida centrista, firmò un trattato di pace, perché quello imponeva la nostra condizione di (colpevoli) vinti.
La vecchia Democrazia cristiana e la stessa classe politica, anche liberale e socialista riformista, che si era formata in età giolittiana, aveva senso della misura. Ad esempio, Giolitti, che aveva grandissimo senso della misura, non voleva la guerra (la prima), e tentò sempre di guadagnare i socialisti alla riforme. Perché era perfettamente consapevole che quella era la “misura” italiana: niente romantiche avventure (forse solo quella libica, così a portata di mano), nè, come li si chiama oggi, “piani Mattei”.
E qui ci fermiamo, ma si potrebbe risalire, almeno fino al Cavour, riformista e "militarista" quel tanto serviva: il "giusto", rispetto all’evolversi di una data situazione.
Questo senso della misura in Italia andò completamente perso con la dittatura fascista e con la Seconda Repubblica (oggi si parla di Terza), come scrivevano ieri, “canina”. Ci si perdoni la brutta metafora: ma un cane può avere senso della misura? No, perché l’ingozzarsi gli è imposto dall’istinto: in alcune circostanze, ci dicono gli etologi, può addirittura mangiare fino a scoppiare…
Ora, fuor di metafora, in Italia da trent’anni a destra e sinistra ci si ingozza: si seminano rabbia, odio, vittimismo. E soprattutto si promette tutto a tutti… Tanto poi – per la serie “noi siamo più furbi degli altri”, il governo successivo, si farà carico dei conti del precedente. E così via.
Purtroppo, come scrivevano, la colpa di tutto questo - per capirsi: della distruzione del discorso pubblico - è di Berlusconi. Però, non è questione, come scrive Pasquino. con gli occhiali di una sinistra che da sempre parla di “Risorgimento tradito”, rispolverando per l’ennesima volta Gobetti, di Berlusconi come “aubiografia della nazione”. Cavour, Giolitti, De Gasperi erano italiani. Allora ?
Si tratta invece di una mancanza totale di senso della misura, diciamo ad personam. Che, questo è vero, riporta all’Italia, divisa in campanili e chiese disposta a seguire i sogni pindarici, per poi calpestarli, del Cola di Rienzo di turno. Con la nazione unitaria – da Cavour in poi – c’entra poco tutto questo. Anche se – non va negato – Crispi e Mussolini, rinviano alla figura del capopopolo. Berlusconi ha tentato di imitarli, in modo maldestro sfasciando però di nuovo tutto, soprattutto sul piano del costume politico. Pure a Giorgia Meloni non dispiacerebbe. Magari evitando gli errori del Cavaliere.
Ieri leggevamo sul “Foglio” lo “speciale”, post mortem, dedicato a Berlusconi. Ci si compiaceva, in quasi tutti i contributi – parliamo di un giornale che si professa liberale – del Cavaliere , barocco: eccessivo, egocentrico, polimorfo, sempre affamato di gloria e di donne. Insomma, del suo essere privo di senso della misura. Cioè di quell’intuire quando fermarsi, perché si sono capite “anche” le ragioni dell’avversario.
L’ultimo atto – con la complicità del governo Meloni – è quello dei tre giorni di lutto nazionale e dei funerali di stato. Per limitarsi alla storia della Repubblica, neppure De Gasperi che ricostruì, e sul serio, l’Italia, ebbe esequie di una tale portata (si veda la foto sopra).
Ovviamente, la sinistra, coglie l’attimo, e ne fa motivo di critiche e attacchi al governo delle destre. Conte ha dichiarato che non parteciperà alle esequie. Altri continuano a insultare il Cavaliere – parliamo di insulti non di analisi politiche – persino nella bara, mostrando altrettanta mancanza di senso della misura e del pudore.
Così è.
Carlo Gambescia
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