sabato 17 giugno 2023

Felice di nome ma non di fatto

 


O Emanuele Felice è realmente ciò che si narra di lui – una specie di nuovo Max Weber (Sabino Cassese) – o è l’ultimo bluff di una sinistra che, culturalmente parlando, non sa più dove sbattere la testa. Per fare una battuta, Felice di nome ma non di fatto.

Dal punto di vista ideologico Felice è un liberalsocialista, un liberale macro-archico: statalista convinto e consapevole. Il lettore ricordi, quando un economista pone l’accento sulla disuguaglianza come Felice,  significa che punta a far salire alle stelle la pressione tributaria per finanziare con i nostri denari costosi e inutili lavori pubblici.

Gli studi economici sulla disuguaglianza poggiano su base fragili perché i dati sicuri hanno meno di un secolo di vita. Per contro gli studi sociologici, dimostrano, che, fatta pari la disuguaglianza economica tra l’inizio e la fine del Novecento, il tenore di vita è migliorato ovunque (**). Ciò significa che il dato economico in sé, soprattutto se privo di quello sociologico, dipinge un quadro della situazione, e non solo per l’Occidente, totalmente falso.

Ma c’è dell’altro, Emanuele Felice, oltre ad essere consigliere economico del Partito democratico, è editorialista di punta di non pochi giornali di sinistra.

Chi voglia delibare la sostanza culturale di ciò che scrive Felice per il pubblico può andare sul sito del “Domani”, quotidiano di cui De Benedetti, arcinemico di Berlusconi, è proprietario.

Felice – quando si dice il caso – in un editoriale uscito questa mattina (*), paragona Berlusconi a Mussolini: “Fra gli italiani forse solo Mussolini, nel secolo scorso, ha avuto un impatto simile sulla politica mondiale”. E lo accusa di avere sconfitto Gramsci: il Cavaliere come “colui che ha posto fine all’egemonia culturale della sinistra”. A causa del “suo successo, l’alternativa berlusconiana è assurta a nuova egemonia. E così l’Italia agli occhi della cultura mondiale non è stata più il paese di Gramsci e Pasolini, o di Fellini, ma di Berlusconi”. Il  programma  del Cavaliere? “Meno etica pubblica, e «meno tasse per tutti», meno investimenti nei beni collettivi, a cominciare da istruzione e ricerca. E poi un capitalismo corporativo e politico”.

Ecco, come dicevamo, la prova di come tutti i discorsi sulle disuguaglianze si tramutino in nuove tasse, per finanziare che cosa? “Beni collettivi”. Cioè un autobus pubblico, dove ti calpestano? Quando e se passano. Un ambulatorio ASL, dove danno del tu a tutti e trattano i pazienti come numeri? Un acquedotto pubblico che perde acqua da tutte le parti?

Ovviamente, già conosciamo la risposta. Solo con nuovi investimenti pubblici, eccetera, eccetera… Ma Felice non è un’economista? Avrà letto Schumpeter, Hayek e Friedman? Pare di no. Lo stato non è la soluzione, ma il problema.

Quanto al capitalismo corporativo, il proprietario del giornale su cui scrive Felice potrebbe tenere un dotto seminario in argomento.

Alla fin fine, si tratta di un editoriale, che poteva scrivere un liceale arrabbiato con Berlusconi. Altro che nuovo Max Weber…

Concludendo, il lettore sa benissimo cosa pensiamo di Berlusconi. Tutto il male possibile. Però demonizzare il Cavaliere, come fa Felice, puntando sul ruolo dello stato redistributivo, rischia di provocare ancora più danni di quelli prodotti da Berlusconi. E che un economista – con quattro abilitazioni “a soli quarant’anni” – non capisca questa cosa è grave.

Delle due l’una. O le abilitazioni sono la conferma della teoria del cigno nero in ambito accademico, o il livello dei docenti universitari è talmente basso che un mediocre professore come Felice viene considerato un gigante del pensiero economico.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/silvio-berlusconi-ha-sconfitto-pure-legemonia-gramsciana-q9ibhl5g .
(**) Al riguardo si veda la brillante sintesi di Hans Rosling, Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo, Rizzoli,Milano 2018.

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