L’amico Carlo Pompei mi chiedeva qualche giorno fa, probabilmente in chiave retorica, chi uscirebbe vincitore da una guerra tra Russia e Nato.
Diciamo subito che una guerra non convenzionale non avrebbe né vincitori nè vinti. Anche se limitata alle armi atomiche tattiche permarrebbero forti incognite sulla “vivibilità” del dopoguerra.
Del resto sul piano convenzionale un’invasione della Russia resta impensabile: troppo territorio da controllare durante e dopo (una vittoria, eclatante o meno). Ci si dovrebbe affidare come fecero i mongoli (unico precedente di invasione riuscita) a stati tributari, retti da aristocrazie militari, asservite ai vincitori ( i principi russi, magnificati come eroi dalla storiografia sovietica, andavano e venivano carponi dalla Cina). Un equilibrio difficile per società urbanizzate e comunque in parte modernizzate.
Insomma, cose complesse ai giorni di oggi, soprattutto per le nazioni che si professano democratiche (problema che i Mongoli, seppure tolleranti sotto il profilo religioso, non avevano).
Pertanto una guerra generale tra Nato e Russia porrebbe non solo i problemi della guerra ma quelli del dopoguerra.
Probabilmente la Russia gioca tutte le carte, per tenere a bada la Nato, su questi due fattori: a) uno antico e fisico (lo sterminato territorio russo); b) uno moderno e culturale (i potenziali- distruttivi effetti di ricaduta di una guerra atomica). Inoltre, la Nato – l’Occidente euro-americano, insomma – non vuol sentire parlare di guerre, convenzionali e non convenzionali. E questo è il terzo fattore che rafforza la Russia.
La domanda era però sul vincitore.
Per vincere una guerra, servono risorse economiche, sociali, militari e morali e soprattutto quella che può essere definita la risorsa filosofica basica: non aver paura di morire, perciò di subire rilevanti perdite umane. In ambito moderno sotto questo profilo le concezioni tradizionaliste del mondo, soprattutto quando mescolate con forti dosi di romanticismo politico hanno maggiori dosi di resistenza (ci riferiamo alle guerre novecentesche).
In altri termini sono più dotate "culturalmente", anche se non è detto (come nel caso della Germania nazista e del militarismo giapponese) che resistano fino in fondo.
Di solito – tesi che, soggettivamente, piace anche a chi scrive – il successo delle democrazie nel 1945 viene attribuito alla forza degli ideali liberali, vittoriosi sul totalitarismo.
Probabilmente, la difesa della liberal-democrazia, giocò un ruolo importante sul piano del romanticismo politico, favorendo la vittoria degli eserciti democratici e di rimbalzo, perché alleata e ben rifornita di armi dall’Occidente, anche dell’Unione Sovietica. All’epoca l’amore per la democrazia, aiutato dal potenziale militare americano, ebbe la meglio sulla paura di morire.
Riassumendo, la democrazia occidentale, in una guerra con la Russia, partirebbero sfavorita sul piano morale, a causa del suo umanitarismo, che per un verso la nobilita ma per l’altro ha reso lì Occidente moralmente inerme: come si fa a parlare un giorno sì l’altro pure dell’inutilità delle guerre e poi pretendere che la gente vada a morire in una guerra?
Probabilmente il potenziale tecnologico militare dell’Occidente, alla lunga potrebbe avere la meglio sul nemico russo, sempre però escludendo una guerra atomica, disastrosa per tutti.
Dopo di che, come anticipato, nascerebbero problemi per la gestione del dopoguerra e dell’occupazione militare. La durezza dei mongoli, ma anche l’idea stessa di stato tributario, resta tuttora una specie di miraggio per le democrazie occidentali legate all’idea di pace, umanità ed eguaglianza tra i popoli.
Si può dire, concludendo, che ciò che fa la forza morale dell’Occidente nei tempi di pace, lo indebolisce in quelli di guerra e di dopoguerra.
Pertanto, se le cose stanno così – prevenendo la domanda dell’amico Carlo Pompei – perché non sedersi al tavolo della pace? Per ragioni oggettive, che non dipendono da noi analisti. Perché il tasso di romanticismo politico della Russia tradizionalista è superiore a quello dell’Occidente per il valori liberal-democratici. Di conseguenza, forti di questa superiorità, difficilmente i russi molleranno la presa fino a quando non avranno ottenuto ciò che vogliono. Come impedirlo? Combattendo, per portarli a miti consigli. Nel senso di una guerra limitata (e convenzionale) all’espulsione delle truppe russe dal territorio ucraino.
Quanto a possibili interventi della Cina in favore della Russia, sospendiamo il giudizio, o comunque confidiamo sulle secolari tradizioni autarchiche cinesi. I mongoli erano nomadi e visti dagli stessi cinesi come barbari. E in seguito si indebolirono e decaddero, perché “cinesizzati”.
Per ora combattono per noi gli ucraini. Ma fino a quando? Si dirà che "non facendo vincere" i russi si rischia la guerra nucleare, eccetera. In realtà, una guerra nucleare, proprio perché non avrebbe né vinti né vincitori, rappresenta il massimo dell’impoliticità ( a proposito della guerra come continuazione, eccetera). E i russi ne sono consapevoli, come pure sanno che la paura dell’Occidente al riguardo, li rende ancora più forti. E su questa paura si giocano tutto.
E noi?
Carlo Gambescia