Il libro della settimana: Jerónimo Molina
Cano, Contra el “mito Carl
Schmitt”, Edit.um/Ediciones
de la Universidad de Murcia, Murcia 2014, pp. 232, euro
20,00.
Eccellente idea, quella di
Jerónimo Molina Cano, professore di Politica Social presso
l’Università di Murcia, di raccogliere in volume i
suoi studi più significativi dedicati a Carl
Schmitt, apparsi negli ultimi dieci anni su
prestigiose riviste e importanti raccolte di atti
congressuali. Non siamo però davanti a una pura e semplice
riproposizione, perché alcuni dei lavori pubblicati (inclusi
i documenti) sono stati rivisti e aumentati, inoltre uno dei saggi
è inedito (La jornada dálmata de Carl Schmitt: terra manet)
Il titolo è tutto un programma: Contra
“el mito Carlo Schmitt” (Edit.um/Ediciones
de la Universidad de Murcia), dal momento che la
fortuna ( molto alterna) del pensatore di Plettenberg
rappresenta il filo conduttore di un libro che in qualche misura si è scritto
da solo. Infatti, come rileva Molina,
“sous l’oeil de Maschkiavelli, M. Stakhanov
et l’écureuil de Flandre [Günther Maschke, Alain de Benoist, Piet Tommissen,
massimi studiosi del pensiero schmittiano, ai quali è il libro è dedicato,
ndr], , est todo lo contrario a una simple collección de textos y a una suma
accidentale de artículos, pues todos sus capítulos se ordenan a partir de una
pocas ideas directoras. Fragmentario, pero non espontáneo ni improvisado,
dunque tengo la impresíon de que le he escrito sin sentir. No diré que se
ha echo solo, pero hasta fechas recincentes no he tenido cosciencia del vínculo
que une todos los textos, la mayor parte de los míos publicados sobre
Carl Schmitt desde año 2004 [...]. Todos [...] responden a la
misma originaria incitación: ni terminar con Carl Schmitt, ni acabar con
él, ni sugerir siquiera qué hacer con él, sino a distanciarme de mito
Carl Schmitt, que es algo muy distinto » (p. 11).
Passiamo ora in rassegna, seppure
velocemente, i dodici saggi e/o capitoli in cui si divide il libro.
Nel Primo (El “Mito Carl Schmitt”),
sono esaminate una grande varietà di questioni: dalla neutralizzazione
del pensiero schmittiano alla sua strumentalizzazione, allargando
l'indagine al cammino, non sempre facile dello studioso
tedesco in Spagna, Italia, Francia. Il “mito”, ottimamente
sezionato e smascherato, è quello del giurista luciferino divenuto
primo consigliere giuridico di uno spietato barbaro teutonico nemico
degli uomini e delle leggi. In realtà, come adombra Molina, il
grande "cervello" politico di Schmitt era
imprigionato in un piccolo "corpo"
borghese (come, in modo non casuale, evidenzia la foto di copertina, che
lo immortala compiaciuto padrone di casa). E quindi portato a
privilegiare l’idea di ordine. Assecondare, magari con il silenzio,
non significa però condividere tutto, né tanto meno sedersi
alla destra del "padre". Come del resto, alla fine, compresero anche
i vincitori americani. Certo, se lo avessero catturato
i sovietici...
Nel secondo, brevissimo, (Antischmittscher
Affekt), si studia quel che potrebbe essere definito
il senso di colpa dei critici di Schmitt: i quali criticandone
i compromessi politici di ieri sperano,
per riflesso, di occultare le proprie complicità con il
potere di oggi.
Perciò siamo davanti a una specie di legge del taglione...
intellettuale.
Nel terzo ( Sombra y fama de Carl Schmitt
en España), si affronta l’influenza, mai senza contrasti,
incomprensioni, strumentalizzazioni, censure, del pensatore tedesco in
una terra come quella spagnola al centro di un infuocatissimo
Novecento. Tra l’altro da lui amata, senza però essere mai ricambiato del
tutto. Un bellissimo (o bruttissimo, dipende dalla posizione ideologica)
capitolo di storia delle debolezze umane.
Nel quarto (Más sobre el “mito Carl
Schmitt”), si torna, come dire, sul pensiero unico
anti-Schmitt, dando però conto di un importante libro a lui dedicato,
quello di Carmelo Jiménez Segado, Contrarrevolucíon
o resistencia. La teoría política de Carl Schmitt (1988-1985), apparso nel
2009, dove si affronta, tra l’altro, la famosa controversia intorno al suo
cattolicesimo politico. Cattolicesimo che Molina, diversamente da
Jiménez Segado, ritiene assuma nel pensatore tedesco una valenza
prettamente politica e sociologica (non teologica). E nella misura
classica di una Chiesa quale strumento di controllo sociale:
posizione che rinvia a Machiavelli e Pareto, con la differenza
però, che Schmitt era credente.
Nei successivi capitoli sono
pubblicati e discussi i carteggi di Schmitt con
Francisco Javier Conde (capitolo quinto), con Jesús F. Fueyo (capitolo sesto),
Pedro Salinas (capitolo settimo). Inutile ricordare la ricchezza delle
questioni affrontate negli epistolari (politiche, sociologiche,
culturali, ecc.) con tre intellettuali (in particolare Conde) di eccezionale
levatura. Il che fa riflettere sulla capacità di certo pensiero
spagnolo non conformista, al di là dei luoghi comuni sulla passata decadenza,
di essere sempre riuscito a captare le correnti più vive del
pensiero politico e culturale. Non ultima l’opera di Carl Schmitt.
Perciò, altro che chiusure...
Nel capitolo otto (Los diarios de
Carl Schmitt, 1930-1934 ), ci
si occupa di un quadriennio decisivo per capire come Schmitt, uomo d’ordine
(mai dimenticarlo), fosse consapevole di un gioco che
poi si sarebbe fatto pericoloso e costoso ( fino alla reclusione
nelle prigioni alleate). Parliamo di un periodo in cui il giurista
- forse illudendosi domatore? - provò a
infilare, come si fa durante uno spettacolo circense, la sua
testa nella bocca del leone hitleriano. Un circo, quello
nazionalsocialista, dai risvolti tragici. Probabilmente Schmitt lo
aveva intuito subito. Eppure... On s'engage, puis on voit? Come sottolinea Molina.
Forse.
Nel capitolo nove (Carl Schmitt y los
intelecuales franceses), si indaga sulla fortuna francese del
pensatore di Plettenberg, discutendo il libro in argomento di
P. Muller ( Carl Schmitt
et les intellectuels français. La réception de Carl Schmitt en France,
apparso nel 2003), testo nel quale si evidenzia, e giustamente secondo Molina,
il ruolo di Julien Freund, come "riscopritore" del pensiero
schmittiano, “avvocato difensore” del tedesco e mediatore tra Schmitt e Aron.
Un bel momento di storia intellettuale franco-tedesca. Senza, ovviamente,
dimenticare il gigantesco lavoro svolto da Alain de Benoist, che fa
il paio, ma in Germania, con la sontuosa ricerca di Günther Maschke,
insieme alla quale va ricordata, per le Fiandre, la grande opera
investigativa intrapresa dal compianto Piet Tommissen. Potremmo
così parlare dei quattro moschettieri della critica schmittiana. E
il quinto potrebbe essere proprio Molina, il più giovane di tutti.
Nel capitolo decimo (Carl Schmitt y la componente telúrica), Molina in modo eccellente, diremmo da virtuoso delle scienze politiche, evidenzia il grande realismo, quasi terragno, per dirla all'italiana, del pensiero schmittiano. A cosa ci si riferisce? Al fattore tellurico, che è geografico e politico al tempo stesso; elemento che riconduce, facendo da trait d'union, alle idee di ordine concreto e grande spazio. La terra vince sul pensiero, facendosi forte dei legami dell’uomo con le cose concrete, ma a sua volta deve contrastare le forze dello spazio acquatico e in seguito aereo. La sfida è gigantesca e Schmitt ne sarà sempre consapevole. Di qui, la concretezza del suo pensiero, lontanissima - riteniamo - dalle fumosità di alcune interpretazioni italiane, dove il gusto per simbolismi astratti finisce per stravolgere il senso stesso della lezione schmittiana.
Nel capitolo decimo (Carl Schmitt y la componente telúrica), Molina in modo eccellente, diremmo da virtuoso delle scienze politiche, evidenzia il grande realismo, quasi terragno, per dirla all'italiana, del pensiero schmittiano. A cosa ci si riferisce? Al fattore tellurico, che è geografico e politico al tempo stesso; elemento che riconduce, facendo da trait d'union, alle idee di ordine concreto e grande spazio. La terra vince sul pensiero, facendosi forte dei legami dell’uomo con le cose concrete, ma a sua volta deve contrastare le forze dello spazio acquatico e in seguito aereo. La sfida è gigantesca e Schmitt ne sarà sempre consapevole. Di qui, la concretezza del suo pensiero, lontanissima - riteniamo - dalle fumosità di alcune interpretazioni italiane, dove il gusto per simbolismi astratti finisce per stravolgere il senso stesso della lezione schmittiana.
Chiudono degnamente il libro i capitoli
undici (La jornada dálmata de Carl Schmitt: terra manet) e dodici (Mientras
perdure el imperio), intenzionalmente posti alla fine del libro (almeno
crediamo…), perché in qualche misura condensano tutte le
questioni in precedenza affrontate: fortuna della sua opera, concretezza
di pensiero, rapporti con il nazionalsocialismo, nonché quel senso di profonda
malinconia che sembra pervadere l’intera opera di Carl Schmitt, anche nei
momenti, come dire, di apparente euforia "circense"...
Tristezza dettata dalla consapevolezza che non si può sfuggire alla
leggi del politico? Forse. Il che però non impedì a Schmitt
di impegnarsi politicamente, incamminandosi, anche se per un breve tratto,
lungo il sentiero sbagliato… Scelta che in qualche
misura rappresenta, e fa parte, del “mistero”, tutto interiore,
racchiuso nello spirito e nella psiche di Carl Schmitt.
Mistero sul quale il libro di Jerónimo Molina, pur non dando risposte definitive (ma quale libro potrà mai darle?), apre interessanti, diremmo intriganti, squarci di luce. E anche per questo motivo va letto.
Mistero sul quale il libro di Jerónimo Molina, pur non dando risposte definitive (ma quale libro potrà mai darle?), apre interessanti, diremmo intriganti, squarci di luce. E anche per questo motivo va letto.
Carlo Gambescia
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