Il libro della settimana: Giovanni Sessa, La meraviglia del nulla. Vita e
filosofia di Andrea Emo, pref. di Romano Gasparotti, in appendiceL’eternità
si può amare solo sotto forma di presenza, (Quaderno n. 122, 1951
13-XI), Bietti, Milano 2014, pp. 420, euro 22,00,http://www.edizionibietti.it/index.asp?Id=CAT .
Il libro di Giovanni Sessa, La
meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, (Bietti), a
prima vista potrebbe essere suddiviso in due testi: il primo, uno studio
critico-interpretativo di taglio accademico dell’opera di Andrea Emo
(1901-1983), il secondo, un tentativo di ricondurre il pensiero del
solitario filosofo veneto, mai pubblicato in vita, nell’alveo di un progetto
postliberale o antiliberale (sul perché della congiunzione disgiuntiva
torneremo nella chiusa).
A dire il vero, sugli aspetti ermeneutici e
sui meriti scientifici del libro, il giudizio introduttivo di
Romano Gasparotti è più che positivo. Se non che il prefatore
sembra nutrire la stessa sfiducia di Sessa nei riguardi della
«democrazia liberale»: «La più totalizzante e alienante forma
contemporanea di super-stitio ( alla lettera)» (p. 19). Un
minimo comune denominatore ideologico, ovviamente inclusivo
anche di Emo ( comune “oggetto del desiderio” epistemico ),
che rende molto difficile giudicare un’opera che può
essere apprezzata soltanto da chi ne condivida il presupposto
progettuale.
Cosa dire allora del pur elevato profilo
teoretico del volume? Che indubbiamente si avverte. Tuttavia, il
vero punto della questione è che il libro di Sessa risente di uno
squilibrio strutturale dal punto di vista argomentativo. Il che non lo
rende recensibile, se non dall’interno, fatti salvi i sempre
possibili dissidi tra le varie tribù culturali della destra post-missina,
composito universo cui La meraviglia del nulla sembra
comunque rivolgersi. Ma a noi - per dirla franca
- non interessa interpretare il ruolo del chiosatore, cortese
o scortese che sia…
Sicché, pur apprezzando lo sforzo di
un autore che stimiamo, una volta finita la lettura, non
abbiamo potuto non scuotere la testa dinanzi a un libro non
riuscito: un ibrido. O per meglio dire, un volume
incongruente in cui mal si accordano gramscismo
culturale e monografismo accademico.
Per un verso (il gramscismo), si indicano le possibili linee di inserimento dell’opera di Emo all’interno della cosiddetta ideologia italiana: araba fenice cultural-filosofica che ha viziato, fin dal Risorgimento, il dibattito politico. E qui, la lista dei duellanti, animati tra l'altro della stessa forma mentis costruttivista, è piuttosto lunga e segnata da un progressivo incrudelimento. Si pensi nell'ordine ai conflitti tra partito moderato e partito d’azione, tra anti-interventisti e interventisti, tra fascisti e antifascisti.
Per altro verso (il monografismo accademico), ci si muove all’interno di una sofisticata rilettura à la Cacciari (ma ricca di sanguigne e robuste contaminazioni evoliane e debenoistiane) della storia della filosofia, in cerca - semplificando - di una terza via gnoseologica tra ragione e antiragione: tematica euristicamente assai cara all’accademia postilluminista del Lombardo-Veneto, se ci si passa la battuta, tutta Kasa e Krisi. E della quale Emo sarebbe, dal punto di vista teoretico, l’ultimo re novecentesco dormiente.
Per un verso (il gramscismo), si indicano le possibili linee di inserimento dell’opera di Emo all’interno della cosiddetta ideologia italiana: araba fenice cultural-filosofica che ha viziato, fin dal Risorgimento, il dibattito politico. E qui, la lista dei duellanti, animati tra l'altro della stessa forma mentis costruttivista, è piuttosto lunga e segnata da un progressivo incrudelimento. Si pensi nell'ordine ai conflitti tra partito moderato e partito d’azione, tra anti-interventisti e interventisti, tra fascisti e antifascisti.
Per altro verso (il monografismo accademico), ci si muove all’interno di una sofisticata rilettura à la Cacciari (ma ricca di sanguigne e robuste contaminazioni evoliane e debenoistiane) della storia della filosofia, in cerca - semplificando - di una terza via gnoseologica tra ragione e antiragione: tematica euristicamente assai cara all’accademia postilluminista del Lombardo-Veneto, se ci si passa la battuta, tutta Kasa e Krisi. E della quale Emo sarebbe, dal punto di vista teoretico, l’ultimo re novecentesco dormiente.
Si dirà, che male c’è? Giusto. Ma
allora si doveva fare un libro dichiaratamente politico, perché ad
esempio capitoli come “Il Transattualismo di Andrea Emo” o “ Cristo e/o
Dioniso”, altamente specialistici, non possono incontrare il favore
di un pubblico dal palato grosso, che si pretende invece di
egemonizzare o catechizzare, puntando sul valore catartico di una
presunta ideologia italiana: i "catechismi" politici impongono
parole d’ordine non ragionamenti, più o meno sottili. Oppure, si
doveva scrivere un libro totalmente accademico, di filosofia
teoretica, perché capitoli come “Un imperdonabile” e
“L’antimodernismo di Emo" non possono non scontentare
il lettore dal palato sottile, abituato a raffinate inferenze
logiche e comparazioni genealogiche più profonde. Insomma, non
possiamo non rilevare - ripetiamo - uno squilibrio di
struttura argomentativa, che però consente alle motivazioni
ideologiche di contaminare e prevalere su quelle conoscitive. Obiettivo
intenzionale? Non intenzionale? Non ci interessa scoprirlo.
Sappiamo soltanto che si è combinato un bel pasticcio: da una
parte si toccano le vette della filosofia teoretica,
analizzando «L’Atto da Aristotele a Gentile» (pp. 88-91),
dall’ altra si precipita nelle paludi del cospirazionismo
formato Rete, taggando, per così dire, i «potentati
trans-nazionali» (p. 299) e la fin troppo cliccata «espropriazione della
sovranità popolare» in Italia e Grecia (p. 248)... Retorica,
politicamente parlando, da Fratelli d'Italia e Lega Nord...
Di qui, il nostro rifiuto, come
dicevamo, di interpretare il ruolo del chiosatore cortese o scortese.
Anche se, a dirla tutta, infastidisce la confusione
concettuale tra liberalismo e democrazia che pervade l'intero libro. Non
si capisce bene se imputabile al pensiero di Emo o
all’interpretazione di Sessa. Più probabilmente - riteniamo - a
tutti e due. Il che rinvia a un vecchio problema, per metterla
sull’ideologico: quello dell’antiliberalismo, duro e puro, dei movimenti
fascisti e neofascisti.
In particolare, questi ultimi - che oggi si autodefiniscono, per alcuni giustamente, postfascisti - continuano a ignorare sul piano politico-culturale le grandi linee di sviluppo del pensiero liberale, facendo - non c’è alcuna ironia - di ogni erba un fascio. Esistono invece varie forme di liberalismo. Ad esempio, pensatori come Burke Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega y Gasset (l’unico citato estesamente in nota), de Jouvenel, Röpke Aron, Freund, Berlin hanno criticato la democrazia di massa, i pericoli dell’egualitarismo, l’accentramento statale, le burocrazie, il gigantismo economico, l’appiattimento dei valori, il costruttivismo e l’utopismo sociale. Il tutto, si noti, prima, durante e dopo Emo. Per inciso: se comunismo e fascismo, in quanto idee, non possono essere giudicati sbrigativamente dai risultati, peraltro negativi, non si capisce perché il liberalismo, tuttora vivo e vegeto, debba invece essere condannato in blocco (idea + risultati) e per giunta senza appello. La logica delle distinzioni concettuali e storiche tra intenzioni e risultati deve valere per tutti, a prescindere dalle simpatie politiche. Insomma, l’oggettività, nuova o vecchia che sia, non può essere costruita ad hoc: non è un abito ideologico di circostanza. Certo, gli uomini tendono a imbrogliare (ideologicamente) le carte, sta però allo studioso fare chiarezza, per quanto umanamente possibile, attraverso l' unica oggettività degna di questo nome: quella scientifica.
Ciò non significa che non si debba studiare Emo. Anzi, consigliamo ai lettori di partire dall’ interessante “Appendice”, soprattutto per farsi subito un’idea propria. Tuttavia, la sua lettura va coniugata con la conoscenza diretta di altre fonti, a cominciare dal liberalismo, politico e realista, se si vuole “triste” perché consapevole di un fatto importantissimo: che le costanti della politica (o “metapolitica", come ci piace dire) valgono anche per i liberali. E ovviamente anche per comunisti, fascisti eccetera.
In particolare, questi ultimi - che oggi si autodefiniscono, per alcuni giustamente, postfascisti - continuano a ignorare sul piano politico-culturale le grandi linee di sviluppo del pensiero liberale, facendo - non c’è alcuna ironia - di ogni erba un fascio. Esistono invece varie forme di liberalismo. Ad esempio, pensatori come Burke Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega y Gasset (l’unico citato estesamente in nota), de Jouvenel, Röpke Aron, Freund, Berlin hanno criticato la democrazia di massa, i pericoli dell’egualitarismo, l’accentramento statale, le burocrazie, il gigantismo economico, l’appiattimento dei valori, il costruttivismo e l’utopismo sociale. Il tutto, si noti, prima, durante e dopo Emo. Per inciso: se comunismo e fascismo, in quanto idee, non possono essere giudicati sbrigativamente dai risultati, peraltro negativi, non si capisce perché il liberalismo, tuttora vivo e vegeto, debba invece essere condannato in blocco (idea + risultati) e per giunta senza appello. La logica delle distinzioni concettuali e storiche tra intenzioni e risultati deve valere per tutti, a prescindere dalle simpatie politiche. Insomma, l’oggettività, nuova o vecchia che sia, non può essere costruita ad hoc: non è un abito ideologico di circostanza. Certo, gli uomini tendono a imbrogliare (ideologicamente) le carte, sta però allo studioso fare chiarezza, per quanto umanamente possibile, attraverso l' unica oggettività degna di questo nome: quella scientifica.
Ciò non significa che non si debba studiare Emo. Anzi, consigliamo ai lettori di partire dall’ interessante “Appendice”, soprattutto per farsi subito un’idea propria. Tuttavia, la sua lettura va coniugata con la conoscenza diretta di altre fonti, a cominciare dal liberalismo, politico e realista, se si vuole “triste” perché consapevole di un fatto importantissimo: che le costanti della politica (o “metapolitica", come ci piace dire) valgono anche per i liberali. E ovviamente anche per comunisti, fascisti eccetera.
Pertanto, la natura antiliberale o
postliberale del progetto politico e culturale che sottende il libro di Sessa
(come capacità o meno di inverare delnocianamente anche il
liberalismo), si gioca proprio sull'apprezzamento dei pensatori da
noi ricordati. Che vanno studiati, ripetiamo, direttamente, e non orecchiati
su libri di seconda o terza mano.
A questo proposito, chiudiamo con un aneddoto. Benedetto Croce, dopo aver subito un’incursione notturna degli squadristi, disse celiando agli amici di aver ricevuto la visita dello “Stato Etico”. Ora, battute, anche simpatiche, a parte, si cerchi il modo di risparmiare ai cittadini, studiando oggi , visite domani dello “Stato Transattualista”… A buon intenditor... Anche perché, per dirla con Goethe, «nulla è più terribile di un’ignoranza attiva».
A questo proposito, chiudiamo con un aneddoto. Benedetto Croce, dopo aver subito un’incursione notturna degli squadristi, disse celiando agli amici di aver ricevuto la visita dello “Stato Etico”. Ora, battute, anche simpatiche, a parte, si cerchi il modo di risparmiare ai cittadini, studiando oggi , visite domani dello “Stato Transattualista”… A buon intenditor... Anche perché, per dirla con Goethe, «nulla è più terribile di un’ignoranza attiva».
Carlo Gambescia
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