mercoledì 2 aprile 2014

Il libro della settimana: Giovanni Sessa, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, pref. di Romano Gasparotti, in appendiceL’eternità si può amare solo sotto forma di presenza, (Quaderno n. 122, 1951 13-XI),   Bietti, Milano 2014, pp. 420, euro 22,00,http://www.edizionibietti.it/index.asp?Id=CAT  .




Il  libro di Giovanni Sessa, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo,  (Bietti), a prima vista potrebbe essere suddiviso in due testi: il primo, uno studio critico-interpretativo di taglio accademico dell’opera  di Andrea Emo (1901-1983), il secondo,  un tentativo di ricondurre il pensiero  del solitario filosofo veneto, mai pubblicato in vita, nell’alveo di un progetto postliberale o antiliberale (sul perché della congiunzione disgiuntiva  torneremo nella chiusa).
A dire il vero, sugli aspetti ermeneutici e sui  meriti scientifici del libro, il  giudizio introduttivo  di  Romano  Gasparotti è più che positivo. Se non che il prefatore  sembra nutrire la stessa sfiducia di Sessa  nei riguardi della «democrazia liberale»:  «La più totalizzante e alienante forma contemporanea di super-stitio ( alla lettera)» (p. 19). Un  minimo comune  denominatore  ideologico, ovviamente inclusivo  anche di  Emo ( comune  “oggetto del desiderio” epistemico ), che  rende  molto difficile  giudicare un’opera  che può essere apprezzata soltanto da  chi ne  condivida  il presupposto progettuale. 
Cosa dire allora del pur elevato profilo teoretico del volume?  Che indubbiamente si avverte. Tuttavia,  il vero punto della questione  è che il libro di Sessa risente di uno squilibrio strutturale dal punto di vista argomentativo. Il  che non lo rende recensibile,  se non dall’interno, fatti salvi  i sempre possibili  dissidi tra le varie tribù culturali della destra post-missina,  composito universo cui  La meraviglia del nulla  sembra comunque  rivolgersi.  Ma a noi - per dirla franca -   non interessa interpretare il ruolo del chiosatore,  cortese o scortese che sia…  
Sicché,  pur apprezzando lo sforzo di un autore che stimiamo, una volta  finita la lettura,  non  abbiamo potuto non scuotere la testa  dinanzi  a un libro non riuscito: un  ibrido. O per meglio dire,  un  volume incongruente  in cui  mal  si accordano gramscismo  culturale e  monografismo accademico.
Per un verso (il gramscismo), si indicano le possibili linee di inserimento dell’opera di Emo all’interno della cosiddetta  ideologia italiana:  araba fenice cultural-filosofica  che ha viziato,  fin dal Risorgimento, il dibattito politico. E qui, la lista dei duellanti, animati tra l'altro della stessa forma mentis costruttivista, è piuttosto  lunga e segnata da un progressivo incrudelimento.  Si pensi nell'ordine ai conflitti   tra partito moderato e partito d’azione, tra anti-interventisti e  interventisti, tra fascisti e antifascisti.
Per altro verso (il monografismo accademico),  ci  si  muove all’interno di  una sofisticata rilettura  à la  Cacciari  (ma  ricca di sanguigne e robuste contaminazioni  evoliane  e  debenoistiane)  della storia della  filosofia,  in  cerca -  semplificando -  di una   terza via gnoseologica tra ragione e antiragione: tematica  euristicamente assai  cara all’accademia postilluminista del  Lombardo-Veneto, se ci si passa la battuta,   tutta Kasa e Krisi. E della quale Emo sarebbe, dal punto di vista teoretico,  l’ultimo  re  novecentesco dormiente.
Si dirà, che male c’è?  Giusto. Ma allora si doveva  fare un libro dichiaratamente politico, perché ad esempio capitoli come “Il Transattualismo di Andrea Emo” o “ Cristo e/o Dioniso”, altamente  specialistici,  non possono incontrare il favore di un pubblico dal palato grosso,  che si pretende  invece di egemonizzare  o catechizzare, puntando  sul valore catartico di una presunta ideologia italiana:  i "catechismi" politici impongono parole d’ordine  non  ragionamenti, più o meno sottili. Oppure, si doveva scrivere un libro  totalmente accademico, di filosofia teoretica,  perché  capitoli come  “Un imperdonabile” e “L’antimodernismo di  Emo"  non possono non  scontentare  il lettore dal  palato sottile, abituato a raffinate inferenze logiche e comparazioni genealogiche più profonde.  Insomma, non possiamo non  rilevare - ripetiamo - uno squilibrio di struttura  argomentativa, che però consente alle motivazioni ideologiche di contaminare e prevalere su quelle conoscitive. Obiettivo  intenzionale? Non intenzionale?  Non ci interessa scoprirlo.  Sappiamo soltanto che si è combinato  un  bel pasticcio:  da una parte  si  toccano le vette della filosofia teoretica, analizzando «L’Atto da  Aristotele a Gentile» (pp. 88-91),  dall’ altra si  precipita  nelle paludi del cospirazionismo formato Rete, taggando,  per così dire,  i   «potentati trans-nazionali» (p. 299) e la fin troppo cliccata «espropriazione della sovranità popolare» in Italia e Grecia (p. 248)... Retorica,  politicamente parlando,  da Fratelli d'Italia e Lega Nord...         
Di qui, il nostro rifiuto, come dicevamo,  di interpretare il ruolo del chiosatore cortese o scortese. Anche se,  a  dirla tutta,   infastidisce la confusione concettuale tra liberalismo e democrazia che pervade l'intero  libro. Non si capisce bene se imputabile al pensiero di  Emo o all’interpretazione  di Sessa.  Più probabilmente - riteniamo - a tutti e due.   Il che rinvia a un vecchio problema, per metterla sull’ideologico: quello dell’antiliberalismo, duro e puro,  dei movimenti fascisti e  neofascisti. 
In particolare,  questi ultimi - che oggi  si autodefiniscono, per alcuni giustamente,  postfascisti -   continuano a ignorare sul piano politico-culturale  le grandi linee di sviluppo del pensiero liberale, facendo -  non c’è alcuna ironia  -  di  ogni erba  un fascio. Esistono invece varie  forme di liberalismo. Ad esempio, pensatori come Burke Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega y Gasset (l’unico citato estesamente  in nota), de Jouvenel, Röpke Aron, Freund, Berlin hanno criticato la democrazia di massa,  i pericoli dell’egualitarismo, l’accentramento statale,  le burocrazie, il gigantismo economico,  l’appiattimento dei valori, il costruttivismo e l’utopismo sociale.  Il tutto, si noti,  prima, durante e dopo Emo. Per  inciso: se comunismo e fascismo, in quanto idee, non possono  essere  giudicati sbrigativamente  dai risultati,   peraltro  negativi,  non si capisce perché  il liberalismo, tuttora vivo e vegeto, debba invece essere condannato  in blocco (idea + risultati)  e per giunta senza appello. La logica delle distinzioni concettuali e storiche tra intenzioni e risultati  deve valere per tutti, a prescindere dalle simpatie politiche. Insomma,  l’oggettività,  nuova o vecchia che sia,  non può essere costruita ad hoc: non è un abito ideologico di circostanza. Certo, gli uomini tendono a imbrogliare (ideologicamente) le carte, sta però allo studioso fare chiarezza, per quanto umanamente possibile,  attraverso  l' unica oggettività degna di questo nome:  quella scientifica.
Ciò  non  significa che non  si debba studiare Emo. Anzi, consigliamo ai  lettori  di partire  dall’ interessante “Appendice”, soprattutto per farsi subito un’idea propria.  Tuttavia, la  sua lettura va coniugata con la conoscenza  diretta  di  altre fonti,   a cominciare dal liberalismo, politico e realista, se si vuole “triste” perché consapevole di un fatto importantissimo:   che le costanti della politica (o “metapolitica", come ci piace dire) valgono anche per i liberali.  E ovviamente anche per comunisti, fascisti eccetera.  
Pertanto,  la natura antiliberale o postliberale del progetto politico e culturale che sottende il libro di Sessa (come capacità o meno  di  inverare delnocianamente anche il liberalismo),  si gioca proprio sull'apprezzamento  dei pensatori da noi  ricordati. Che vanno studiati, ripetiamo, direttamente, e non orecchiati su libri di seconda o terza mano. 
A questo proposito, chiudiamo con un aneddoto. Benedetto Croce, dopo aver subito un’incursione notturna degli squadristi, disse celiando agli amici di aver ricevuto la  visita dello “Stato Etico”. Ora,  battute, anche simpatiche, a parte, si cerchi il modo di  risparmiare ai cittadini,  studiando oggi ,  visite domani  dello “Stato Transattualista”… A buon intenditor... Anche perché, per dirla con Goethe, «nulla è più terribile  di un’ignoranza attiva».  

Carlo Gambescia  

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