Destra, può bastare l’anti-europeismo?
La politica nelle democrazie contemporanee, basate
sul dibattito pubblico, va sempre studiata a due livelli: a) quello delle
esternazioni (ciò che si dice); b) quello dei fatti concreti (le decisioni).
Si possono vincere le elezioni
perché si è individuato lo slogan
giusto. E sia. Ma prendere più voti non significa saper governare e soprattutto essere capaci di mantenere, o comunque "gestire", le promesse. Insomma, la
buona politica dei "fatti" deve sempre prevalere.
In Italia, Berlusconi ha purtroppo rappresentato la “politica
delle parole”. Di riflesso, la destra
italiana - un mondo politico estremamente composito - si è totalmente disabituata a
prestare attenzione al rapporto tra parole e fatti.
Ora, a destra, sembra essere
molto in voga l’antieuropeismo.
Anche qui siamo davanti a un puro e semplice slogan, che per un verso interpreta
il giusto malessere dei cittadini verso le rigorose politiche di bilancio, per
l’ altro indica nell’Unione Europea, ma
ingiustamente, la causa di tutti mali
economici. Di qui, il possibile corto circuito tra le elevate aspettative di un elettorato, come mostrano i
sondaggi, antieuropeo, e l’impossibilità
per una serie di ragioni (politiche, economiche, giuridiche) di “uscire” dall’
Europa.
Non vogliamo dire che un passo
indietro sia del tutto impossibile, ma
un politico, soprattutto se di destra (quindi conservatore e realista) dovrebbe evitare fughe in avanti ed
eventualmente lasciare alla sinistra il mercato delle (mancate) promesse elettorali.
Si dirà: nelle democrazie, la politica deve attenersi
al voto dei cittadini. Certo, ma la politica, come è noto, è arte del possibile. Del resto, prima della crisi economica, gli italiani erano ardenti europeisti. Ora non lo sono più. In pochi anni
sembra essere cambiato
tutto. Magari, tra qualche, superata la
crisi, sarà di nuovo euromania… Allora,
che fare?
Diciamo che una destra attenta ai
fatti e non alle esternazioni dovrebbe valutare concretamente i pro e
contro non congiunturali ma, come dire,
epocali. Insomma, dovrebbe cercare di
andare oltre i calcoli opportunistici per pensare in chiave storica. Il
che non sempre è facile. Ma almeno provarci, no?
Carlo Gambescia
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