giovedì 2 febbraio 2012

Sul suicidio assistito e dintorni…




Lucio Magri,  uomo di estrema sinistra,  tra i   fondatori de  “il Manifesto”,   è morto a 79 anni per sua espressa volontà. Ha scelto di passare a miglior vita,  andando in Svizzera, in una di quelle cliniche dove si  pratica  la “dolce morte”,   o detto  pane al pane vino al vino,   il suicidio assistito.
Niente funerali, niente necrologi, niente pubblicità, Tuttavia,  ora che si  è diffusa la  notizia,   molte polemiche. Forse troppe. Che dire?
Sul piano privato, della  facoltà individuale, come capacità di agire a prescindere dal quadro normativo, crediamo sia necessaria la massima libertà.  Il suicidio è un atto, come dire, più che privato,  intimo.  E, dal  momento che non tutti sono credenti in Dio o nella Vita,  è lecito,  quantomeno in linea teorica,  riconoscere  la facoltà  di poter mettere fine ai propri giorni... Ovviamente, senza nuocere ad altri...
E qui si apre il grosso  problema della ricaduta  collettiva ( o sociale)  del suicidio individuale… Ricaduta, non solo materiale, nel senso del suicida che apre il gas, distruggendo  un’intera palazzina con  dentro vite innocenti.  Bensì ricaduta morale, quale  esempio per gli altri. Si pensi ai giovani, soprattutto agli adolescenti di oggi, così fragili,  quindi  a rischio.  Pertanto  sul piano pubblico,  non è socialmente consigliabile,  indicare nel suicidio, un scelta di libertà, addirittura esemplare.  E quindi moralmente positiva.  Certo, è  sicuramente una forma di libertà da rispettare, ma non da deificare,  dal momento che si rinuncia al bene più prezioso:  la vita.
Si dirà, ma quella dei malati senza scampo che esistenza è?  Giusto.  Tuttavia la scelta di non vivere  deve restare  facoltà   privata. Di qui la necessità di non trasformarla, come alcuni invece pretendono, in diritto soggettivo pubblico. Addirittura  grazie al sostegno normativo e pratico di  leggi e  strutture sanitarie collettive.  Lo Stato, invece,  non  deve interferire né pro né contro.  Ma come, qualcuno si chiederà, la legge non deve sempre perseguire chiunque  provochi la morte di un altro uomo? E qui il problema si fa ancora più complesso. Perché per un verso, in linea di principio, la modernità ha accresciuto  i  poteri dello Stato in  numerosi  campi,   con grande vantaggio di tutti. Al potere pubblico,  come si legge nei manuali, spetta il monopolio legittimo della forza. Per l’altro verso, il suicidio, ripetiamo, è facoltà  privata  che  rinvia  all’uso della violenza contro se stessi, magari ricorrendo ad altri,  come nel caso dei suicidio assistito. 
Come conciliare  pubblico e privato?  Difficile, se non del tutto impossibile. 
Si può vietare  il suicidio assistito, come attualmente accade  in Italia,  collegando il monopolio legittimo della forza, da parte dello Stato, a   valori, più o meno religiosi, di natura anti-individualistica. Tuttavia, le guerre, proclamate per ragioni collettive, sfociano in  feroci  suicidi di massa, autorizzati dagli stati… Comunque sia,  e ci riferiamo a coloro che si oppongono al suicidio assistito, siamo davanti a valori collettivistici, di parte,  non condivisi da tutti.  
Oppure  permetterlo, come in Svizzera, dove è andato a morire Magri,   cedendo però a un individualismo radicale ma protetto dalle leggi,  e  in ultima istanza antisociale. Perché, estremizzando il concetto, una società dove si potesse praticare liberamente il suicidio, potrebbe, se per ipotesi tutti lo mettessero in pratica nello stesso preciso momento, sparire all’istante. Anche qui, e ora  ci riferiamo a coloro che sono favorevoli al suicidio assistito, siamo davanti a valori individualistici, di parte, non condivisi da tutti. 
Ora, e pensiamo alle varie proposte di legge pro o contro,   si può mettere ai voti una decisione  riguardante la vita e la morte delle persone? Si può decidere a colpi di  maggioranza (nell’una o nell’altra direzione)  una questione così importante?      
La democrazia può aiutare a dirimere le questioni pratiche, ma non  quelle legate alla libertà morale.  Eppure  non crediamo esista una terza via…  Prima o poi anche in Italia si dovrà prendere una decisione al riguardo. Il “progresso”, come si dice  “incalza”…
O meglio,  a dirla tutta,  una terza via ci sarebbe.  Quale?  Di accettare, quando  si riterrà, individualmente, giunto il momento,  il   rischio di “fare da soli”  o con l’aiuto di qualche amico medico compiacente.  Terza via, certo, lastricata di ipocrisia. Ma come osservò quel genio di Vilfredo Pareto, “si finge solo ciò che a molti è bene accetto”.

Sia chiaro, molti, non tutti…

Carlo Gambescia

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