Guerra
alla casta o alla democrazia rappresentativa?
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La demagogica guerra alla “casta”, ( come ora è di moda chiamare la
classe politica) ha origini lontane e purtroppo filosoficamente nobili. Affonda
infatti le radici nella critica illuminista alla democrazia rappresentativa.
Non proviene, insomma, dal solo pensiero controrivoluzionario, come comunemente
si pensa. Due citazioni, per chiarire il concetto: la prima da Rousseau, la
seconda da Kant.
“ La sovranità non può essere rappresentata (…). I deputati del popolo non sono
né possono essere suoi rappresentanti (…). L’idea della rappresentanza (…)
deriva dal governo feudale, da quell’iniquo e assurdo sistema di governo, nel
quale la specie umana è degradata e il nome di uomo disonorato” (Contratto
sociale, Libri III, cap. XV).
“ Il popolo che è rappresentato dai suoi deputati (nel Parlamento) ha, in
questi mallevadori della sua libertà e del suo diritto, degli uomini che
s’interessano vivamente della propria posizione e di quella dei membri della
loro famiglia nell’esercito, nella flotta, nelle funzioni civili e che invece
di opporre resistenza alle usurpazioni del governo (…) sono sempre pronti, al
contrario, a tirare il governo nelle loro mani” (Metafisica dei costumi, parte
I).
Risulta evidente che il bersaglio è la democrazia rappresentativa, cui vengono
opposti la democrazia diretta (Rousseau) e il governo illuminato, o meglio
degli illuminati (Kant). Due utopie… di cui Kant e Rousseau, nonostante tutto,
erano onestamente consapevoli, a differenza dei tanti demagoghi di oggi...
Perciò la democrazia rappresentativa, piaccia o meno, resta l’unica soluzione
valida, soprattutto per i grandi e complessi sistemi politici attuali. Grazie
alla democrazia liberale il cittadino, votando il rappresentante, decide il
nome di chi dovrà decidere, non avendo sufficienti cognizioni e competenze per
decidere direttamente: l'informazione, nell'individuo, anche la più accurata,
non è sinonimo di padronanza conoscitiva. Di riflesso, l’appello referendario
alle folle in tumulto, puntando sul sì o no puramente "informato",
conduce a cattive decisioni e all’ oppressione delle minoranze: chi "perde"
il referendum, perde tutto. Altrimenti detto: la minoranza perdente viene
cancellata dal punto di vista rappresentativo, perché "caduta" sotto
i colpi del "potere assoluto" attribuito alla maggioranza vincente;
potere così assoluto da ricordare quello "divino" invocato dal monarca
assoluto, altrettanto crudele verso i dissenzienti. Certo, sono voti non
pallottole, ma il principio devastante è lo stesso: si tratti dell' elevazione
a ente astratto di una "Maggioranza-Popolo" o della trasformazione in
simbolo politico di un "Dio-Patriarca" ad usum delphini.
Per contro, il problema della selezione delle élite politiche ( e il
conseguente pericolo della degenerazioni in caste) riguarda la struttura
sociale ( si pensi solo alla persistenza del familismo-clientelismo italiano),
che evolve sempre più lentamente di quella politica. Spesso servono secoli.
Insomma, ci vuole pazienza.
Carlo Gambescia
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