Il libro della settimana: François
Walter, Catastrofi. Una storia culturale, Angelo Colla
Editore 2009, pp. 365, euro 23,00.
www.angelocollaeditore.it |
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Nell’epoca della “catene”, speriamo, per ora, solo editoriali e librarie, si
parla sempre poco delle piccole case editrici. Che, in realtà, rispetto alla
qualità, non sono mai così “micro”… Come ad esempio quella fondata da Angelo
Colla nel 2002: editore vicentino che ha già all’attivo un’opera collettiva, di
altissima caratura scientifica come Il
Rinascimento italiano e l’Europa, in dodici volumi (finora sono
usciti i primi cinque, bellissimi). Oltre ad affabulanti pubblicazioni
nell’ambito delle scienze umane, dell’arte, della manualistica, della cultura
locale e di recente della narrativa. Insomma una casa editrice capace di unire
ed evocare universale e particolare: rigore e passione, se si vuole. Piccola,
ma non nella qualità. E che aspira a diventare grande. Auguri sinceri.
E solo un editore dotato di notevole fiuto poteva scovare e tradurre
tempestivamente (l’edizione francese è del 2008) un libro al tempo stesso
intrigante, opportuno e dotto come quello di François Walter, Catastrofi. Una storia culturale
(Angelo Colla Editore 2009, pp. 365, euro 23,00 ). L’autore è uno storico
dell’Università di Ginevra, dalla cultura enciclopedica. Già noto in Italia per
una ghiotta Storia dell’ambiente europeo,
scritta con il medievista Robert Delort (Editore Dedalo 2002).
Dunque, lo abbiamo definito un libro intrigante, opportuno e dotto. Dobbiamo,
allora, spiegare perché.
Intrigante, perché Catastrofi
affronta un problema antico quanto l’uomo: quello, per metterla sul colto,
della Teodicea. In parole povere del perché il male infierisce sugli uomini
senza preavviso. E con il permesso di Dio, secondo alcuni. Senza, per altri.
Opportuno, perché viviamo in un’ epoca dove si parla solo di “catastrofi”:
naturali, ecologiche, economiche, sociali . E quindi giunge propizio un libro
che spiega che tipo di storia culturale vi sia dietro il “catastrofismo.
Dotto, perché François Walter, pur esponendo i fatti in modo avvincente, non
rinuncia mai a fornire le cosiddette “pezze d’appoggio”. Il libro spicca per
una ricchezza di autori trattati e di riferimenti bibliografici
(accuratissimi), che lascia veramente a bocca aperta. Senza mai però intimidire
il lettore. Con scioltezza: con la semplicità del grande storico.
Ma veniamo alla tesi del libro. Walter ricostruisce la storia del concetto di
catastrofe dal XVI secolo ai giorni nostri, nelle sue ramificazioni sociali e
culturali: da Calvino e Francesco di Sales fino ad Al Gore. Semplificando, il
percorso storico è il seguente: al paradigma provvidenzialistico della
catastrofe (teologico), predominante fino alla metà del XVIII secolo, si è
prima sostituito quello naturalistico (scientifico): in termini di controllo,
non più divino, ma umano, degli eventi naturali. Durato, grosso modo, fino al
Primo Grande Macello del 1914. Dopo di che - e soprattutto all’indomani del
Secondo Grande Macello, culminato con la Shoah , Hiroshima e Nagasaki - si è fatta avanti
la tesi dell’imperscrutabilità della catastrofe, in un mondo ormai abbandonato
da Dio. E dove l’uomo finisce per assumere il ruolo del portatore sano del
“male catastrofe”. Di qui però lo sviluppo, dagli anni Settanta del Novecento
in poi, di una società dei rischio, se non controllato, almeno “controllabile”
e riducibile grazie alla mano visibile della politica…
Ricapitolando: dalla passività teologica, si è passati all’attivismo
progressista della scienza, per poi accettare un prudente interventismo, che
non scomoda né Teologia, né Scienza, ma sovraccarica di decisioni la Politica , come del resto
è sotto gli occhi di tutti.
Interessanti, a questo proposito, le riflessioni di Walter sulla “società del
rischio”. Società che, come rileva,
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“non assomiglia più allo Stato
previdenziale, pazientemente costruito dalle generazioni del XX secolo: non spetta
più infatti alla società preservare i cittadini, ma ciascun individuo è tenuto
singolarmente ad accettare i rischi probabili, badando a non lasciarsi
travolgere dal processo di ‘vulnerabilizzazione’ che a colpi di flessibilità
nel mondo del lavoro tocca una porzione non trascurabile degli abitanti della
maggior parte dei paesi europei. La vulnerabilità e la precarietà si sono così
sostituite all’impoverimento. L’unica certezza è quella di una minaccia
costante, spia di un nuovo rapporto con il mondo, donde il favore di cui gode
il principio di precauzione diventato… la vulgata dei poteri decisionali”.
.
E dunque della politica. In questo senso,
l’idea di una minaccia costante, in realtà potrebbe servire solo a rafforzare
il potere esistente. Ci si serve - e qui andiamo oltre le tesi di Walter -
della possibilità del disordine (il rischio della catastrofe naturale, sociale,
economica) per imporre l’ordine assoluto. La teorizzazione e la pervasività del
rischio a ogni livello andrebbero a rafforzare, l’apparentemente invisibile ma
altrettanto soffocante, Leviatano post-moderno: basato su una sorta di
individualismo, funzionale al potere. E dunque su un'idea di individuo, se non
da assistere, almeno da rassicurare, come si fa con i bambini in preda agli incubi
notturni. Fatto che non depone sicuramente in favore di una società matura e
libera. Ecco, il libro di Walter favorisce anche una riflessione “metapolitica”
di questo genere. Altro buon motivo per leggerlo.
Carlo Gambescia
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