giovedì 19 novembre 2009

Il libro della settimana: François Walter, Catastrofi. Una storia culturale, Angelo Colla Editore 2009, pp. 365, euro 23,00.


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Nell’epoca della “catene”, speriamo, per ora, solo editoriali e librarie, si parla sempre poco delle piccole case editrici. Che, in realtà, rispetto alla qualità, non sono mai così “micro”… Come ad esempio quella fondata da Angelo Colla nel 2002: editore vicentino che ha già all’attivo un’opera collettiva, di altissima caratura scientifica come Il Rinascimento italiano e l’Europa, in dodici volumi (finora sono usciti i primi cinque, bellissimi). Oltre ad affabulanti pubblicazioni nell’ambito delle scienze umane, dell’arte, della manualistica, della cultura locale e di recente della narrativa. Insomma una casa editrice capace di unire ed evocare universale e particolare: rigore e passione, se si vuole. Piccola, ma non nella qualità. E che aspira a diventare grande. Auguri sinceri.
E solo un editore dotato di notevole fiuto poteva scovare e tradurre tempestivamente (l’edizione francese è del 2008) un libro al tempo stesso intrigante, opportuno e dotto come quello di François Walter, Catastrofi. Una storia culturale (Angelo Colla Editore 2009, pp. 365, euro 23,00 ). L’autore è uno storico dell’Università di Ginevra, dalla cultura enciclopedica. Già noto in Italia per una ghiotta Storia dell’ambiente europeo, scritta con il medievista Robert Delort (Editore Dedalo 2002).
Dunque, lo abbiamo definito un libro intrigante, opportuno e dotto. Dobbiamo, allora, spiegare perché.
Intrigante, perché Catastrofi affronta un problema antico quanto l’uomo: quello, per metterla sul colto, della Teodicea. In parole povere del perché il male infierisce sugli uomini senza preavviso. E con il permesso di Dio, secondo alcuni. Senza, per altri.
Opportuno, perché viviamo in un’ epoca dove si parla solo di “catastrofi”: naturali, ecologiche, economiche, sociali . E quindi giunge propizio un libro che spiega che tipo di storia culturale vi sia dietro il “catastrofismo.
Dotto, perché François Walter, pur esponendo i fatti in modo avvincente, non rinuncia mai a fornire le cosiddette “pezze d’appoggio”. Il libro spicca per una ricchezza di autori trattati e di riferimenti bibliografici (accuratissimi), che lascia veramente a bocca aperta. Senza mai però intimidire il lettore. Con scioltezza: con la semplicità del grande storico.
Ma veniamo alla tesi del libro. Walter ricostruisce la storia del concetto di catastrofe dal XVI secolo ai giorni nostri, nelle sue ramificazioni sociali e culturali: da Calvino e Francesco di Sales fino ad Al Gore. Semplificando, il percorso storico è il seguente: al paradigma provvidenzialistico della catastrofe (teologico), predominante fino alla metà del XVIII secolo, si è prima sostituito quello naturalistico (scientifico): in termini di controllo, non più divino, ma umano, degli eventi naturali. Durato, grosso modo, fino al Primo Grande Macello del 1914. Dopo di che - e soprattutto all’indomani del Secondo Grande Macello, culminato con la Shoah, Hiroshima e Nagasaki - si è fatta avanti la tesi dell’imperscrutabilità della catastrofe, in un mondo ormai abbandonato da Dio. E dove l’uomo finisce per assumere il ruolo del portatore sano del “male catastrofe”. Di qui però lo sviluppo, dagli anni Settanta del Novecento in poi, di una società dei rischio, se non controllato, almeno “controllabile” e riducibile grazie alla mano visibile della politica…
Ricapitolando: dalla passività teologica, si è passati all’attivismo progressista della scienza, per poi accettare un prudente interventismo, che non scomoda né Teologia, né Scienza, ma sovraccarica di decisioni la Politica, come del resto è sotto gli occhi di tutti.
Interessanti, a questo proposito, le riflessioni di Walter sulla “società del rischio”. Società che, come rileva,

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“non assomiglia più allo Stato previdenziale, pazientemente costruito dalle generazioni del XX secolo: non spetta più infatti alla società preservare i cittadini, ma ciascun individuo è tenuto singolarmente ad accettare i rischi probabili, badando a non lasciarsi travolgere dal processo di ‘vulnerabilizzazione’ che a colpi di flessibilità nel mondo del lavoro tocca una porzione non trascurabile degli abitanti della maggior parte dei paesi europei. La vulnerabilità e la precarietà si sono così sostituite all’impoverimento. L’unica certezza è quella di una minaccia costante, spia di un nuovo rapporto con il mondo, donde il favore di cui gode il principio di precauzione diventato… la vulgata dei poteri decisionali”.
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E dunque della politica. In questo senso, l’idea di una minaccia costante, in realtà potrebbe servire solo a rafforzare il potere esistente. Ci si serve - e qui andiamo oltre le tesi di Walter - della possibilità del disordine (il rischio della catastrofe naturale, sociale, economica) per imporre l’ordine assoluto. La teorizzazione e la pervasività del rischio a ogni livello andrebbero a rafforzare, l’apparentemente invisibile ma altrettanto soffocante, Leviatano post-moderno: basato su una sorta di individualismo, funzionale al potere. E dunque su un'idea di individuo, se non da assistere, almeno da rassicurare, come si fa con i bambini in preda agli incubi notturni. Fatto che non depone sicuramente in favore di una società matura e libera. Ecco, il libro di Walter favorisce anche una riflessione “metapolitica” di questo genere. Altro buon motivo per leggerlo.

Carlo Gambescia
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