giovedì 5 novembre 2009

Il libro della settimana: Nicola Vacca, Esperienza degli affanni, Edizioni il Foglio Letterario, pp. 84, euro 6.00.   



Sociologia o poesia? La domanda può apparire insolita. Ma c’è una spiegazione: le scienze sociali da alcuni anni si cimentano con la “sociologia delle emozioni”… Da membri della “congrega” (quella dei sociologi), siamo però molto scettici sulla possibilità di uno studio sociologico delle emozioni umane, capace di andare oltre l’esposizione di freddi elenchi statistici: nude cifre che dovrebbero fissare le percezioni collettive di una realtà interiore e indefinibile, già sul piano individuale. E che appartiene ai poeti, come appunto il mondo delle passioni, dei sentimenti e degli stati d’animo…
Insomma, il sociologo su certi argomenti deve tacere e lasciare spazio a letterati e poeti. Magari per apprendere proprio da questi ultimi quel senso, per così dire, dell’ ”inattingibile sociologico”. O se si preferisce dell’impossibilità di scrutare, armati di grafici e tabelle, nei cuori umani.
Ovviamente ci riferiamo a una poesia capace di fare i conti con il dolore, probabilmente la più pura e reale delle esperienze umane: un tempo si diceva, “morire di crepacuore”…
E qui pensiamo all’opera di Nicola Vacca, giornalista, scrittore, ma soprattutto poeta, che i lettori del blog già conoscono e apprezzano. Una poesia degli e negli affanni, legata dunque alla vita di tutti i giorni e ai suoi dolori, come appunto mostra, fin dal titolo la sua ultima bella raccolta: Esperienza degli affanni (Edizioni il Foglio letterario, pp. 84, euro 6.00 - http://www.ilfoglioletterario.it/ ) . Ma lasciamo la parola al poeta.
“La vita non è facile/lo sanno i poeti./ Tutte le mattine/fanno i conti con le parole/camminano senza mappa./ Tengono tra le mani/ la poesia che succede nella crudeltà/di un altro giorno di paura” (La crisi, p. 7).
Ecco, l’idea di mappa rinvia al viaggio esistenziale, giorno dopo giorno. Ma dove si va? Verso Il lato giusto delle cose (p. 11): “Dateci parole semplici/per attraversare il mare./ C’è pericolo di naufragio/ la mente brucia, il cuore è squarciato./ Il dolore è perdita/ma è anche l’esperienza dell’uomo giusto. Sono proprio coloro che non ci sono più/ a raccontarci che nella memoria/ forse la deriva può essere evitata esiste/ anche il lato giusto delle cose”.
Naturalmente il poeta non può conoscere o indicare porti sicuri. Ma nutrire solo la consapevolezza che “il vuoto afferra la realtà”(Il vuoto afferra, p. 41), confinandoci “in un freddo di cose ultime” (L’esperienza del freddo, p. 55). Ma allora che rimane? Resta soltanto, come monito stilistico e missione redentrice, all’ombra di una laicità contesa al Dio delle cose e degli eserciti, La crudeltà delle parole nude (p. 79): “In questi tempi sinistri/l’inverno dello spirito è l’unica stagione/ che ha qualcosa da dire./ E’ troppo intenso l’odore del cloroformio./ Non cercate l’intuizione./Ad essere incendiari si corre il rischio di finire sul rogo. Amate la crudeltà delle parole nude”.
E non è poco.
Qualche giorno fa, sfogliavamo questa raccolta, tornando a casa in autobus, in quel crepuscolo da sempre caro ai poeti. Intorno a noi una umanità ferita dalle abitudini. Uomini e donne, chiusi su se stessi, ma non per scelta: solo per costrizione di una società “vuota che afferra” e mette nell’angolo, per parafrasare i taglienti versi di Nicola Vacca. Quale può essere, pensavano, il ruolo della poesia per queste anime morte, o sul punto di morire? Forse di risvegliarle? Ma come? Se chi scrive, in quel preciso momento, si fosse messo a declamare poesie in autobus, fra gente sopraffatta dalla stanchezza, probabilmente avrebbe raccolto intorno sé gli sguardi infastiditi o indifferenti, che di solito si posano sugli outsider delle miserie urbane …
Perché invece non tornare a declamare la poesia, ovunque? Nelle piazze, nelle strade, nelle stazioni? Celebrando e attribuendo a versi e versificatori una funzione concreta, reale, civica e civile? Una poesia non legata ai narcisismi da combriccola di pochi poeti “coronati”…
Ne siamo infatti certi: in questo nostro viaggio quotidiano al termine delle cose - anche in autobus, come abbiamo visto… - la poesia, attraverso l’ intuizione e la rappresentazione del dolore può tornare a scolpire l’anima degli uomini, parlando al cuore delle persone. Perché, come ci ricorda Nicola Vacca, “non è più tardi/ per un’altra possibilità".

Carlo Gambescia


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