Il libro della settimana: Bruno Leoni, Scritti di scienza politica e teoria del diritto, pref. di Giorgio Rebuffa, introd. di Mario Stoppino,
Rubbettino/Leonardo Facco, Soveria Mannelli/ Treviglio 2009, pp. 394 euro 18,00.
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Ottima idea quella di ripubblicare la raccolta degli scritti di Bruno Leoni , apparsa nel 1980 per i tipi di Giuffrè Editore, a cura di Mario Stoppino. Un' antologia che colmando il vuoto editoriale apertosi tra il 1967 (anno della sua prematura scomparsa) e il 1995, (anno di uscita de La libertà e la legge, la sua opera più importante, pubblicata in America nel 1961, e semisconosciuta in Italia) ha rappresentato per anni tutto quel che di Leoni si poteva trovare nelle biblioteche. La raccolta viene riproposta con lo stesso titolo: Scritti di scienza politica e teoria del diritto, ( nuova pref. di Giorgio Rebuffa, introd. di Mario Stoppino, Rubbettino/Leonardo Facco, Soveria Mannelli/ Treviglio 2009, pp. 394, euro 18.00 ).
Si tratta di un'opera molto utile per scoprire l’universo intellettuale di quello che ci permettiamo di chiamare il Friedrich August von Hayek italiano. Studioso di grande qualità, e con quel gusto per la sintesi elegante e acuta, che non sempre ritroviamo nella pur profonda pagina di Hayek. Certo, di formazione disciplinare diversa ( economista lo studioso austriaco, filosofo del diritto l'italiano), ma armato della stessa granitica certezza hayekiana: l’individuo, anche secondo Leoni, precede l’ordine sociale, economico e politico. Ma soprattutto lo costruisce. E secondo modalità inintenzionali. Di qui certa cautela di Leoni, pur nell'apprezzamento ideale, nei riguardi della prasseologia a sfondo intenzionalistico di Ludwig von Mises.
Per Leoni e Hayek gli ordini del diritto, del mercato e
della società, oltre a essere correlati, sono perciò totalmente spontanei:
dietro la creazione dei tre ordini si nasconde la provvidenziale mano
invisibile dell’interesse individuale, teorizzata da Adam Smith.
Ovviamente, un' impostazione del genere - così netta - può essere valutata ricca di pregi o piena di difetti, secondo il punto di osservazione da cui la si guardi.
Come sociologi, siamo d’accordo con Stoppino. Il quale molto onestamente, riconosce che “l’individualismo integrale" di Leoni va molto al di là di un semplice criterio metodologico, e lo conduce a una singolare obliterazione del peso delle formazioni e degli aggregati sociali - gruppi, organizzazioni, classi, ceti - nei quali la società è di fatto articolata e stratificata. Questa obliterazione costituisce il principale limite dell’impostazione teorica leoniana” (p. 68). E a riprova di ciò si vedano nella raccolta i saggi "Scienza politica e azione politica" ( pp. 77-95) e "Decisioni politiche e regola di maggioranza" (pp. 123-137).
Ma siamo anche d’accordo con Rebuffa su un fatto molto importante. Che Leoni resta sicuramente il critico italiano più severo del positivismo giuridico. Una dottrina quest’ultima “ secondo cui le ‘regole di carta’, danno al mondo un ordine definitivo”. In "tale versione - continua Rebuffa - la volontà del legislatore è la sola produttrice di regole che devono essere enunciate e applicate” (p.5). E qui rinviamo all'eccellente "Oscurità e incongruenze nella dottrina kelseniana del diritto" (pp. 255-297).
Pertanto, prendendo le mosse dal suo individualismo "integrale", Leoni pone alla base del diritto e della politica, il soggetto con le sue legittime pretese, socialmente condivise, e non l’ ordinamento giuridico oggettivo, basato sostanzialmente sulla volontà del legislatore, come appunto sostiene il positivismo giuridico. Al riguardo si veda nella raccolta, "Obbligo e pretesa nella dogmatica, nella teoria generale e nella filosofia del diritto" (pp. 339-366). Di qui però il progressivo ricorso di Leoni a una concezione economicista del diritto e della politica come scambio tra singoli soggetti di beni pretesi (giuridici e politici), perché socialmente attesi: uno scambio che Leoni oppone alla coercizione nei riguardi del singolo, imposta da un potere politico onnivoro e opprimente al fine di stabilire una gerarchia artificiale tre le pretese dei singoli. Per certi versi Leoni sembra sposare la classica dicotomia evoluzionista tra status e contratto, che fa tanto tardo Ottocento. Anche se, a dire il vero, si tratta di sviluppi teorici che i testi raccolti adombrano più che delineare pienamente. Ma si veda comunque "Natura e significato delle decisioni politiche" (pp. 97-121).
Ovviamente, un' impostazione del genere - così netta - può essere valutata ricca di pregi o piena di difetti, secondo il punto di osservazione da cui la si guardi.
Come sociologi, siamo d’accordo con Stoppino. Il quale molto onestamente, riconosce che “l’individualismo integrale" di Leoni va molto al di là di un semplice criterio metodologico, e lo conduce a una singolare obliterazione del peso delle formazioni e degli aggregati sociali - gruppi, organizzazioni, classi, ceti - nei quali la società è di fatto articolata e stratificata. Questa obliterazione costituisce il principale limite dell’impostazione teorica leoniana” (p. 68). E a riprova di ciò si vedano nella raccolta i saggi "Scienza politica e azione politica" ( pp. 77-95) e "Decisioni politiche e regola di maggioranza" (pp. 123-137).
Ma siamo anche d’accordo con Rebuffa su un fatto molto importante. Che Leoni resta sicuramente il critico italiano più severo del positivismo giuridico. Una dottrina quest’ultima “ secondo cui le ‘regole di carta’, danno al mondo un ordine definitivo”. In "tale versione - continua Rebuffa - la volontà del legislatore è la sola produttrice di regole che devono essere enunciate e applicate” (p.5). E qui rinviamo all'eccellente "Oscurità e incongruenze nella dottrina kelseniana del diritto" (pp. 255-297).
Pertanto, prendendo le mosse dal suo individualismo "integrale", Leoni pone alla base del diritto e della politica, il soggetto con le sue legittime pretese, socialmente condivise, e non l’ ordinamento giuridico oggettivo, basato sostanzialmente sulla volontà del legislatore, come appunto sostiene il positivismo giuridico. Al riguardo si veda nella raccolta, "Obbligo e pretesa nella dogmatica, nella teoria generale e nella filosofia del diritto" (pp. 339-366). Di qui però il progressivo ricorso di Leoni a una concezione economicista del diritto e della politica come scambio tra singoli soggetti di beni pretesi (giuridici e politici), perché socialmente attesi: uno scambio che Leoni oppone alla coercizione nei riguardi del singolo, imposta da un potere politico onnivoro e opprimente al fine di stabilire una gerarchia artificiale tre le pretese dei singoli. Per certi versi Leoni sembra sposare la classica dicotomia evoluzionista tra status e contratto, che fa tanto tardo Ottocento. Anche se, a dire il vero, si tratta di sviluppi teorici che i testi raccolti adombrano più che delineare pienamente. Ma si veda comunque "Natura e significato delle decisioni politiche" (pp. 97-121).
Cosicché, rinviamo chi ne voglia sapere di più,
all'introduzione di Stoppino, ricca anche sotto l'aspetto bibliografico. Dove è
ben ricostruito il cammino di Leoni verso quell'Eldorado economicista, che oggi
tanto attrae non pochi dei suoi estimatori, così privi di dubbi sul carattere
eterno e benefico del capitalismo (beati loro...). E comunque sia, rimandiamo i
curiosi alla raccolta leoniana, prefata da Sergio Ricossa, La sovranità del
consumatore (Ideazione, Roma 1997), dove il Re Pescatore Leoni rivela
tutta la sua fede nel Santo Graal del mercato.
Ma torniamo alla questione, non secondaria, del diritto. Secondo Leoni - e sunteggiamo dal suo La libertà e la legge (Liberilibri, Macerata 1995), libro costruito in modo eccellente, a prescindere... - il diritto storicamente si è manifestato, prima nel mondo romano e poi in quello del common law, non come imposto dall’alto, ma come pura e semplice ricezione giuridica di ciò che i soggetti sperimentano per primi in basso, attraverso la cooperazione basata sullo scambio. In buona sostanza per Leoni è lo spirito pratico (individuale) che fa le leggi, e non il legislatore illuminato delle moderne democrazie maggioritarie, giuridicamente motorizzate e politicamente invasive ( magari in nome del progresso).
Il che è in parte condivisibile, perché il vero diritto è sempre diritto vivente e apportatore di pace (come del resto rileva anche Leoni), ma in parte no. Perché la vitalità del diritto non dipende solo da un individuo lasciato libero di scambiare, ma anche dall’universo socioculturale in cui vive, che spesso non è creativo né pacificato, soprattutto in relazione alle scelte sui valori e i beni da scambiare. Ora, quando si scambia si scambia sempre qualcosa. Ma il punto è che Leoni non sembra affatto interessato a quel che si scambiano "socioculturalmente" gli uomini; contenuti da cui però dipendono le "pretese" di cui sopra.
Ma torniamo alla questione, non secondaria, del diritto. Secondo Leoni - e sunteggiamo dal suo La libertà e la legge (Liberilibri, Macerata 1995), libro costruito in modo eccellente, a prescindere... - il diritto storicamente si è manifestato, prima nel mondo romano e poi in quello del common law, non come imposto dall’alto, ma come pura e semplice ricezione giuridica di ciò che i soggetti sperimentano per primi in basso, attraverso la cooperazione basata sullo scambio. In buona sostanza per Leoni è lo spirito pratico (individuale) che fa le leggi, e non il legislatore illuminato delle moderne democrazie maggioritarie, giuridicamente motorizzate e politicamente invasive ( magari in nome del progresso).
Il che è in parte condivisibile, perché il vero diritto è sempre diritto vivente e apportatore di pace (come del resto rileva anche Leoni), ma in parte no. Perché la vitalità del diritto non dipende solo da un individuo lasciato libero di scambiare, ma anche dall’universo socioculturale in cui vive, che spesso non è creativo né pacificato, soprattutto in relazione alle scelte sui valori e i beni da scambiare. Ora, quando si scambia si scambia sempre qualcosa. Ma il punto è che Leoni non sembra affatto interessato a quel che si scambiano "socioculturalmente" gli uomini; contenuti da cui però dipendono le "pretese" di cui sopra.
Sotto questo profilo Leoni, come un eccentrico
personaggio uscito da un libro di Chesterton mai scritto, assomiglia a uno
stravagante, simpatico e intelligente collezionista di bottiglie vuote con
un'etichetta dove è scritto "Pretese"; bottiglie dal vetro stupendo,
coloratissimo, finemente lavorato, magari con una storia dietro, ma vuote. E
Leoni è soddisfatto così, perché confida in modo assoluto nella superiore
capacità di scelta, o di "pretesa", del singolo. Assimila la libertà
a una bottiglia vuota, o "pretesa", dal momento che ognuno può
travasarvi il vino preferito.
Il problema però è che non tutti gli uomini sono bravi
sommelier. E alcuni ne approfittano. Perché "pretendono" più degli
altri.
Carlo Gambescia
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