Elezioni europee
Il partito del non
voto
C’è chi gioisce perché un europeo su due non ha votato. Si legge, particolarmente in Rete: ecco, signori, questa è la sacrosanta risposta, di un elettore idealmente tradito, alla mancata democraticità delle “costruzione” europea. Il che in parte può essere vero, ma in minima parte.
Esistono numerosi studi empirici e teorici (Flora, Rokkan, Crouch, Esping-Andersen, Sartori, solo per citarne alcuni) che comprovano che nelle democrazie rappresentative post-belliche il voto si è gradualmente trasformato da voto identitario (per semplificare, voto di fede) in voto di scambio (voto di calcolo, sempre semplificando). E in particolare negli ultimi trent’anni, soprattutto dopo la caduta del comunismo russo e la progressiva crisi della Chiesa post-conciliare, già acuitasi negli anni Settanta-Ottanta. E ovviamente - questo è vero - con grande gaudio dei candidati politici ( i rappresentanti), finalmente liberi da qualsiasi mandato imperativo ideologico. Ma come vedremo, cio è avvenuto anche con la complicità di elettori (i rappresentati), altrettanto felici, dopo due guerre colossali, di godersi finalmente, senza farsi troppe domande sui destini del mondo, qualche piccola fetta di pace e benessere.
Il voto di scambio è legato, appunto, a uno scambio (io ti do la preferenza e tu in cambio, ad esempio mi abbassi le tasse, ) tra elettore e candidato, in genere fondato su precisi interessi materiali, più che ideali. Che spesso, nel voto locale, dove il voto di scambio, l’ha sempre fatta da padrone, sconfina nell’illecito.
Il voto identitario è invece l’esatto contrario, non c’è scambio ma elargizione unilaterale, si potrebbe parlare di “quasi dono” (io ti do la preferenza, perché mi identifico nella causa ideale che tu rappresenti, a prescindere da quello che una volta eletto farai, e in questo senso sacrifico all’"idea" i miei interessi materiali…). Pertanto si tratta di un voto basato su precisi, e spesso alti, valori ideali.
Il che però non significa che le due tipologie qui descritte allo stato "puro", nella realtà spesso non finiscano per mescolarsi. Resta tuttavia il fatto, che stando ai più accreditati studi sociologici, negli ultimi trent’anni ha prevalso la prima tipologia, quella del voto di scambio.
Ora, stante quel che fin qui abbiamo detto, parlare, anche in questa occasione, di un voto distinto dalla crescente sfiducia ideale nei riguardi delle istituzioni europee, significa attribuire al voto europeo un valore identitario e politico, allo stato attuale inesistente. E non perché si sia votato, diciamo così, "per l’Europa", ma perché, anche quando si vota "per l’Italia", gli elettori, semplificando, vogliono solo pagare meno tasse o godere di maggiore protezione sociale (anzi spesso chiedono, in modo contraddittorio, le due cose insieme).
Se oggi l’Europa delle istituzioni è distante dai cittadini, lo è come può esserlo un centro servizi assicurativi… E se i cittadini sono distanti dall’Europa, lo sono come possono esserlo i clienti di un assicuratore poco serio. Quindi basta con i piagnistei sull’assenza di una identità europea ( andata distrutta, forse irreparabilmente, in due guerre colossali e fratricide), e soprattutto con i tentativi di sfruttare politicamente il voto di domenica, da parte dei soliti gruppetti in cerca di action, politica, attribuendo ad esso una valenza di protesta ideale.
Protesta sì, ma egoistica.
Carlo Gambescia
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