venerdì 6 marzo 2009

Il denaro-rete. Un’analisi ricognitiva (*)

di Carlo Gambescia




Sommario
Premessa - 1. La rete sotto l’aspetto simbolico e sociologico - 2. Il denaro degli antichi - 3. Il denaro dei moderni - 4. Il denaro-rete - 5. Conclusioni. Un nuovo ascetismo?
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Premessa
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Interrogarsi sul denaro-rete[1] che oggi immobilizza le nostre società, come la rete del gladiatore romano imprigionava l’ avversario, richiede due definizioni preliminari. Riguardanti il concetto di rete e quello di denaro, anche dal punto di vista della sua evoluzione storica. Dopo di che potrà essere affrontata la questione principale. Ci preme sottolineare che il nostro scritto vuole fornire soltanto una rapida ricognizione sociologica su una materia incandescente ma indubbiamente di grande fascino intellettuale e scientifico. Pertanto da parte nostra non vi è alcuna pretesa di esaustività.

1. La rete sotto l’aspetto simbolico e sociologico.
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Dal punto di vista simbolico, come ricordano i dizionari specialistici, la rete assume nelle diverse tradizioni un valore sacro e di veicolo per rendere concreta una forza spirituale. Di volta in volta viene usata dagli uomini per catturare Dio, o da Dio per catturare gli uomini. Si pensi all’immagine del cielo paragonato a una rete, di cui le stelle sarebbero i nodi di maglie invisibili. Metafora che implica l’idea dell’impossibilità di riuscire a sfuggire al potere dell’ universo e delle sue leggi[2]. Pertanto, dal punto di vista simbolico, l’idea di rete indica un potere diffuso, di tipo spirituale ( o trascendente l’uomo), che però tiene insieme reticoli e nodi, rappresentanti gli essere umani.
Dal punto di vista sociologico sussiste il concetto di rete sociale. Anche qui i dizionari di settore, ne evidenziano la natura pervasiva. La rete sociale, scrive J.C. Mitchell, indica “uno specifico complesso di legami tra un insieme ben definito di persone (…) con la proprietà che le caratteristiche di questi legami come un tutto possono essere usate per interpretare il comportamento sociale delle persone coinvolte”[3] . Torna, dunque, anche in questa definizione, l’idea di potere diffuso, sulle persone, in funzione dell’effetto legame che scaturisce dalle rete.
E’ possibile ritrovare una sintesi delle due definizioni precedenti, in quella che Manuel Castells, usa per rappresentare l’attuale “società informazionale”, legata ai grandi flussi reticolari di ogni genere (denaro elettronico incluso). Castells è probabilmente il maggiore studioso vivente della società contemporanea, come “società in rete”[4]. Ma lasciamolo parlare:
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“Una rete è un insieme di nodi interconnessi. Un nodo è il punto in cui una curva interseca se stessa. Che cosa sia concretamente un nodo, dipende dal tipo di reti reali cui si fa riferimento. Sono nodi le piazze finanziarie, con i loro centri ausiliari di servizi avanzati, immersi nelle rete dei flussi finanziari globali. Sono nodi i commissari europei e i consigli dei ministri nazionali, della rete politica che governa l’Unione Europea. Sono nodi i campi della coca e dell’oppio, i laboratori clandestini, le piste di atterraggio segrete, le gang di strada e le istituzioni finanziarie per il riciclaggio del denaro sporco nella rete del traffico di droga che compenetra le economie, le società e gli stati di tutto il mondo. Sono nodi i sistemi televisivi, gli studi per la produzione dell’intrattenimento, i milieu della computer grafica, le redazioni televisive e i dispositivi mobili che generano, trasmettono e ricevono segnali nella rete globale dei nuovi media alla base dell’espressione culturale e dell’opinione pubblica nell’Età dell’informazione”[5] .
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Il che significa che la “topologia definita” dalle reti richiede:
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“che la distanza (o l’intensità e la frequenza d’interazione) tra due punti (o posizioni sociali) sia più breve (o più frequente, più intensa) quando entrambi i punti sono nodi della stessa rete che non quando lo sono di reti diverse. D’altro canto all’interno di una data rete, non c’è distanza nei flussi tra i nodi. Pertanto, la distanza (fisica, sociale, economica, politica, culturale) per un dato punto o una data posizione varia tra zero (per qualsiasi nodo all’interno della rete) e infinito (per qualsiasi punto esterno alla rete). L’ inclusione/esclusione delle reti e l’architettura delle relazioni tra reti, dispiegate e azionate da tecnologie informatiche che operano a grandi velocità configurano i processi e le funzioni dominanti nelle nostre società”[
6].
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Di conseguenza chi opera entro la rete “esiste socialmente”, chi non vi opera è praticamente condannato alla progressiva morte societaria. E qui si pensi ai ceti sociali che non hanno ancora accesso alle tecnologie informatiche, oppure a interi continenti, o parti di essi (si pensi all’Africa) esclusi, se non come soggetti passivi da sfruttare, dalla rete economica mondiale.
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2. Il denaro degli antichi
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Il denaro degli antichi è di tipo comunitario. Si tratta di un concetto che potrebbe essere esteso anche alle società premoderne (arcaiche, tradizionali, “primitive”). Questa ipotesi viene sviluppata dalla ricerca storica e antropologica più avvertita[7]. Nel mondo premoderno il denaro aveva una funzione politico-redistributiva. Un’origine collegata all’antico bisogno comunitario di designare, ricorrendo a una pluralità di medium, o veicoli materiali, i criteri più idonei per rispecchiare la proporzionalità tra il valore del compito svolto dal singolo, le necessità del gruppo, e la quota di bottino o di “surplus” da dividere[8]. Il denaro, insomma, non era ancora un’entità astratta e prepolitica. Come ricorda Aristotele, la moneta “è detta in greco ‘cosa legale’ (nomisma) perché sorge non per natura ma per legge (nomos) e sta in nostro potere il mutarla e renderla fuori uso”[9] . Sotto questo aspetto la moneta degli antichi, va vista, come illustra la storia greco-romana, come il naturale prolungamento della volontà politica. Il veicolo di un nomos, quale fattore di integrazione sociale, che per la mentalità del tempo, trascendeva il momento economico per estendersi a quello comunitario, tramite la redistribuzione fiscale e monetaria, come nell’Atene di Pericle, nella Grecia ellenistica e nella Roma Repubblicana [10] . Ma si tratta di un approccio politico-istituzionale, e dunque di una mentalità socioculturale, che abbraccia anche la società medievale, almeno fino al 1000, nonché il mondo arcaico, dove la moneta, nelle sue variegate forme fisiche è strettamente controllata dal potere politico: si va insomma dal potere di un assemblea antica, di un sovrano medievale a quello di una capo tribale del Dahomey [11]. Che poi ad Atene, Roma e nel Regno del Dahomey, si riuscisse o meno a controllarla è ancora oggi un’altra storia… Ma il concetto che deve essere chiaro è quello del controllo politico e comunitario della moneta, O istituzionale se si preferisce. Se pur esisteva, anche in quelle società, una micro-rete economica basata sul denaro, essa era attentamente controllata dalla comunità politica e non viceversa.
Il punto del problema è questo: per un verso, è caratteristica sociale del denaro, che una volta messo politicamente in circolo sotto forma di moneta, cerchi di estendersi a rete. Ma è anche caratteristica sociale del potere politico, che una volta che lo abbia messo in circolo, si sforzi di tenere sotto controllo le dimensioni della rete, tentando di regolarne il conio, il valore e quantità in circolazione. Si tratta di forze, o dispositivi sociali, storicamente sottoposti al gioco e all’influsso di altri fattori (culturali, economici, giuridici, religiosi, morali). Ad esempio, tra le cause del declino politico e morale di Roma imperiale, alcuni storici, ascrivono quella della crescente privatizzazione morale (o meglio “immorale”) di ogni transazione attraverso il denaro, sempre pronto a essere usato, come reticolo, dai vari gruppi di potere, per corrompere amministratori interni (funzionari, capi militari, eccetera) e nemici “esterni” ( i famigerati barbari del limes, e altre bande o popoli guerrieri). Di qui seguì la graduale rinuncia, malgrado le autorità dichiarassero il contrario, a qualsiasi controllo effettivo. Il denaro e i suoi reticoli venali, comprarono tutti e tutti, fin quando, considerate le tecniche dell’epoca e l’impossibilità per Roma di estendersi ulteriormente, non ve ne fu più per nessuno: la rete del denaro aveva raggiunto la sua massima estensione, e dopo aver fagocitato anche il potere politico, l’Impero crollò, come un castello di carte, anche per mancanza di liquidità, e conseguentemente, dell’impossibilità di potere autoperpetuarsi, come un complesso basato sulla sola venalità privata e reticolare del denaro[12].
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3. Il denaro dei moderni
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Abbiamo accennato alla caratteristica sociale del denaro, che una volta immesso nel circuito economico sotto forma di moneta, non può che estendersi a forma di rete. Per quale ragione? Perché rende più veloci le transazioni. Non solo: passando rapidamente di mano in mano, sembra conferire alle azioni umane un grado crescente di libertà. E questo, soprattutto grazie al fascino esercitato dal miraggio dell’ illimitato potere d’acquisto racchiuso, appunto, nel denaro: il solo medium che sarebbe capace di sormontare, come si dice ancora oggi, illudendo e illudendosi, le distanze sociali. Il denaro è stato spesso storicamente (e retoricamente) presentato, e non solo nelle democrazie, come uno strumento di liberazione dei popoli.[13]
Ma passiamo alla dinamiche concrete. Partendo dalle intuizioni di Simmel e Polanyi[14], attenti studiosi del denaro, si possono rilevare due processi sociologici.
I processi di oggettivazione: rilevabili nelle più diverse società storiche, antiche e moderne. Discendono dalla necessità di disporre, con l’incorporazione del denaro in una base o veicolo materiale (denaro-oggetto: conchiglie, grano orzo, “schiavi” e metalli preziosi), di un mezzo di commutazione dei bisogni individuali che resti costante nel tempo. Sono processi che rispondono a una necessità pratica.
I processi di astrazione nascono invece nel cuore della società moderna imbevuta spiritualmente dell’ ideale di un’astratta calcolabilità numerica. Questi processi sono connotati dal fatto che il denaro-oggetto, pur continuando a rappresentare la relatività valoriale degli oggetti economici, commuta astratti valori di mercato, trasformandosi in denaro-segno (la banconota, ad esempio) . Vale a dire che esso non si incarna, se non in una prima fase “bullionista”[15], in oggetti misurabili e individuabili fisicamente, come reale prolungamento di una base materiale e produttiva (lingotti d’oro, monete auree). Di conseguenza il fondamento del denaro-segno, succeduto al denaro-oggetto, finisce per risiedere esclusivamente in un volatile ma potente elemento psicologico-fiduciario: l’astratta fictio di una promessa di pagamento. Sono processi che rispondono a un’astratta necessità mercantile.
Il passaggio dai processi di oggettivazione a quelli di astrazione, si sviluppa attraverso la crescita del moderno sistema creditizio e bancario. E’ un processo che si accompagna allo sviluppo del capitalismo moderno. Cosicché al denaro (già di per sé retiforme), prima oggetto, poi segno, si aggiunge, potenziandone le caratteristiche retiformi, il processo di espansione capitalistica. Basato sul progressivo controllo del politico da parte dell’economico[16]. Che si sviluppa, come è avvenuto, fino al punto di coprire, l’intero pianeta, servendosi storicamente e strumentalmente, di volta in volta, dello stato-nazionale e delle varie istituzioni economiche internazionali, via via sorte sulla basi delle private esigenze economiche di ristrette oligarchie[17]. Sombart, distinguendo, la pura cupidigia di oro e denaro, (come “ricerca dei tesori sepolti, alchimia, progettistica, usura”), dall’economia capitalistica, riteneva che al centro di quest’ultima vi fosse non “una persona viva coi suoi bisogni naturali, ma una cosa astratta: il capitale”, nella cui “astrattezza dello scopo è insita la sua illimitatezza”[18]. Cosicché per i moderni, benché il denaro sia in grado di volare con le ali proprie, esso in realtà vive in perfetta osmosi con le principali istituzioni del mondo finanziario-capitalistico (borsa, istituti di credito, compensazione scambio): al massimo dell’astrattezza, esemplificata dall’oscuro (e perpetuo) scorrere dei flussi di denaro, corrisponde a livello tecnico-economico, la concretezza degli interessi delle oligarchie finanziarie. L’astrattezza illimitata finisce così per sommarsi, chiudendo il cerchio, col potere illimitato di pochi[19].
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4. Il denaro-rete.
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Come abbiamo visto il denaro degli antichi e il denaro dei moderni rinvia a due processi sociologici: rispettivamente di oggettivazione e astrazione. Ma il denaro-rete dei nostri giorni, pur essendo frutto di questi due processi, è qualcosa di diverso e superiore: diciamo che non si tratta solo di una differenza di grado. Altrimenti non potrebbe meritarsi l’appellativo di denaro-rete. Dal momento che esso rappresenta l’ultima fase del processo di astrazione e la prima di un nuovo processo ancora da definire. Un processo, ancora in sviluppo, che rischia però implicare, come già sta avvenendo, la totale smaterializzazione del denaro attraverso la rete: non più denaro-oggetto né denaro-segno, ma denaro-rete. In questa ultima fase le caratteristiche retiformi del denaro rischiano veramente di non trovare più alcun ostacolo. Per capire questa “novità” torna utile citare ancora Castells:
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“Se ci riferiamo a una vecchia tradizione sociologica secondo cui l’azione sociale al livello più fondamentale può essere compresa guardando all’evoluzione delle relazione tra natura e cultura, allora siamo proprio in una nuova era. Il primo modello di relazione tra questi poli fondamentali dell’esistenza umana è stato caratterizzato per millenni dal dominio della natura sulla cultura. I codici dell’organizzazione sociale esprimevano in maniera quasi diretta la lotta per la sopravvivenza contro l’incontrollabile asprezza della natura (…) La seconda forma della relazione instauratasi alle origini dell’età moderna, e associata alla rivoluzione industriale e al trionfo della ragione, vide la dominazione della natura ad opera delle cultura, costruendo la società a partire dal lavoro, attraverso cui l’umanità trovò sia la sua liberazione dalle forze naturali, sia al sua sottomissione ad abissi di oppressione e sfruttamento. Stiamo ora entrando in una nuova fase in cui la cultura rimanda alla cultura, dato che la natura è stata soppiantata al punto da dover essere fatta rivivere artificialmente (‘salvaguardata’) come forma culturale (…). A causa della convergenza tra evoluzione storica e innovazione tecnologica abbiamo varcato la soglia di una dimensione puramente culturale dell’interazione e dell’organizzazione sociali. Ecco perché l’informazione è l’ingrediente chiave della nostra organizzazione sociale e perché i flussi di messaggi e immagini tra le reti costituiscono la trama e il filo conduttore della nostra struttura sociale”[20].
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In sostanza, il denaro-rete, non è frutto ( o comunque non solo, storicamente parlando) di un processo di oggettivazione e astrazione (come nella seconda forma di relazione storica tra natura e cultura, ricordata da Castells), dove la cultura opera sulla natura, ma diviene esito di un processo di “culturalizzazione”, se ci si passa il termine, in cui la cultura rimanda a una cultura informatizzata. Siamo davanti al fantasma di un fantasma: la rete del denaro elettronica (secondo fantasma culturale, in ordine di tempo), che riassume e potenzia, i processi di astrazione-oggettivazione (primo fantasma culturale, sempre in ordine di tempo). Processi, questi ultimi, scaturiti, e poi maturati nel corso dell’età moderna, da due ideali capitalistici, come la calcolabilità e l’ “astrattezza-illimitatezza”, già magnificamente individuati da Sombart. Siamo, insomma, nel regno del fantasmagorico-informazionale: della carta di credito, della “carta” o del denaro elettronico-reticolare[21]. Alla cui diffusione possono essere imputati due effetti sociologici fondamentali: la definitiva formalizzazione e automatizzazione di comportamenti e procedure sociali. Le sbarre della gabbia di acciaio weberiana, stanno così per essere sostituite da un rete in apparenza più sottile, ma in realtà più resistente di qualunque lega di acciaio. Infatti, oggi, che senso ha affermare che il denaro è un titolo di credito verso l’altro, quando abbiamo di fronte una gelida macchina dove inserire una tessera magnetica? Che cosa significa ritenere il denaro un titolo di credito da e per la comunità, quando al potere politico, oggi non si chiede giustizia sociale, neppure per i singoli [22] ? E soprattutto si impone ai politici di non disturbare i “manovratori”, spesso occulti, della moneta?
Va insomma compreso che siamo al cospetto di un denaro insensibile alle stesse leggi del mercato e della politica. Un denaro sganciato da referenti oggettivi (oro, argento), e perfino dalla carta, creato dal nulla, digitando su una tastiera[23], e che perciò alimenta il mito dell’ eterna abbondanza di risorse. Del resto, come i sociologi sanno, sul piano individuale, una moneta che fisicamente non si vede, rende il pagamento “indolore” (è documentato che il cliente con carta di credito, se debitamente motivato, spenda sempre più di coloro che sono muniti di cartamoneta)[24].
In questo modo però lo scambio sociale, va sempre più irrigidendosi: la carta di credito, come altri apparati informazionali, formalizza la persona che abbiamo davanti, alla quale si finisce per chiedere non una riposta consapevole ma una reazione automatizzata a ricordi e situazioni (ad esempio: comprare e vendere…). Al massimo dell’astrattezza corrisponde così la scomparsa dell’altro, ridotto a cifra digitata in fretta sulla tastiera di un terminale. Il denaro ormai, come forma più che astratta, che non rimanda neppure più a se stessa, è certamente in grado di volare con le proprie ali, mentre gli uomini possono restare inchiodati a quel che realmente guadagnano.
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5.Conclusioni. Un nuovo ascetismo?
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In questo senso, oggi, quanto più l’uomo lotta per procurarsi la più preziosa e volatile delle merci, il denaro, per frapporlo, quale provvisorio e neutro schermo difensivo tra sé e gli altri, tanto più si condanna, non solo all’autoestraniazione, ma alla sua stessa sparizione come essere fisico, psichico e morale. Perché ogni transazione elettronica va ad alimentare, regolarmente, le enormi fauci delle gigantesche reti finanziarie informatizzate, che in quanto
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strutture aperte, capaci di espandersi senza limiti, integrando i nuovi nodi fintanto che questi sono in grado di comunicare fra loro all’interno della rete, (…), sono strumenti appropriati per un’economia capitalista basata sull’innovazione, sulla globalizzazione e sulla concentrazione decentrata; per il lavoro, i lavoratori e le aziende orientati alla flessibilità e all’adattabilità[25] .
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Il che tuttavia finisce per avere una sua opprimente pervasività sociale, dal punto di vista delle strutture del potere economico. Dal momento che

la morfologia di rete è anche fonte di marcata ristrutturazione delle relazioni di potere. Gli ‘interruttori’ che connettono le reti (per esempio, flussi finanziari che assumono il controllo di imperi mediatici capaci di influenzare i processi politici) sono gli strumenti privilegiati del potere. Pertanto, quelli che possono azionarli sono i veri detentori del potere. Poiché le reti sono molteplici, i codici e gli interruttori interoperanti tra le reti sono le fonti fondamentali per plasmare, guidare e deviare il corso delle società. La convergenza tra evoluzione sociale e le tecnologie dell’informazione ha creato una nuova base materiale per lo svolgimento delle attività in tutta la struttura sociale[26].

Di conseguenza,
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questa base materiale, incorporata nelle reti, contraddistingue i processi sociali dominanti, dando quindi forma alla stessa struttura sociale[27].
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Si ritorna, allora, alla metafora della rete. Che nel mondo romano, come abbiamo visto era l’arma scelta di quei gladiatori, che la usavano per immobilizzare gli avversari e poi ucciderli. Proprio come oggi l’alta finanza “immobilizza” o “smobilizza” i mercati delle materie prime, delle valute e di altre merci, decidendo così in una frazione di secondo il destino di miliardi di persone[28]. La rete del gladiatore serviva ad immobilizzare l’avversario per porlo alla mercé del vincitore, come oggi, attraverso i flussi di spesa elettronica vengono tenuti in ostaggio da potenti società di investimento miliardi di cittadini, ridotti a innocui e istupiditi consumatori.
Come liberarsi del denaro-rete? Rinunciando all’uso crescente del denaro elettronico? E dunque ai consumi inutili? Ritornando a fare politica, magari usando la “rete” contro se stessa, secondo la lezione degli hacker?
Non basta. Si dovrebbe prima iniziare a lavorare spiritualmente su stessi. Secondo la tradizione iraniana è l’uomo, il mistico in particolare, che dopo essersi munito di una rete spirituale, fatta di raccoglimento interiore, preghiera e ascesi, si sforza di “catturare” Dio[29] . Ma anche nella tradizione cristiana, come in altre culture religiose, è possibile ritrovare potenti ed evocatrici rivelazioni che parlano al cuore e alle menti degli uomini. Insomma, non esiste una sola matrice culturale, morale e religiosa, che inviti gli uomini di buona volontà a “pescare” quel dio che vive nascosto dentro di noi e che ci ha fatto a sua immagine.
Cosicché il “nuovo asceta, senza obbligare gli altri a seguirlo, potrebbe sforzarsi di rappresentare un esempio per gli altri. E di riflesso, senza concepire nuove e pericolose utopie sociali, il “nuovo asceta, potrebbe limitarsi “a vivere” quotidianamente la sua eterodossia. Come scrive Giorgio Osti, si tratta di evocare e praticare una vita “paradossale”. Capace di mettere “in crisi, cose date per scontate da ricercatori e gente comune”[30].
E dunque anche il denaro-rete. E coloro che vi sono dietro.


Carlo Gambescia

NOTE AL TESTO

(*) Il saggio è già apparso su "Metábasis. Filosofia e comunicazione". Rivista on-line dell'Università dell'Insubria, WWW.METABASIS.IT - marzo 2007 anno II n°3, pp. 1-12: http://www.metabasis.it/articoli/3/3_Gambescia.pdf . Ringraziamo la direzione della rivista, e in particolare il professor Claudio Bonvecchio, per il permesso di riprodurlo.
Lo ripubblichiamo nella speranza che possa favorire una riflessione onesta e sincera su un argomento importante, al quale ci si deve accostare con umiltà, scientificità e quindi totale rinuncia a qualsiasi forma di spirito settario. (Carlo Gambescia)
[1] Nelle nostra trattazione i termini di denaro e moneta sono usati come sinonimi. Nel senso, che qui interessano soprattutto gli effetti di ricaduta sociologica (e storica) di un bene che ha funzione di mezzo di pagamento, mezzo di misura del valore, mezzo di risparmio, prestito, di trasferimento del valore nello spazio. Stando almeno alla definizione più diffusa nei manuali di economia. Pur tuttavia denaro e moneta, come il lettore intuisce, non sono solo questo, come cercheremo di dimostrare.
[2] Si veda ad esempio J. Chevalier e A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli (1969, d’ora in avanti la data tra parentesi indica l’anno di edizione in lingua originale), Rizzoli, Milano 1986, vol. II, pp. 285-286. Anche per il riferimento alla rete del gladiatore romano).
[3] Cfr. F. Demarchi, A. Ellena, B, Cattarinussi (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, Milano 1987, p. 1756. Ma sul piano più “tecnico” si veda anche Antonio M. Chiesi, Reticoli, analisi dei[Network Analysis], in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. VII, pp. 407-414.
[4] M. Castells, La nascita della società in rete (1996, 2000), Università Bocconi Editore, Milano 2002; Il potere delle identità, ed. cit., 2003; Volgere di millennio, ed. cit., 2003. Si tratta di un’opera che alcuni critici non ritengono inferiore, come analisi esplicativa del capitalismo contemporaneo, di quelle fornite dai lavori weberiani sulle origini e lo sviluppo del capitalismo moderno. Tuttavia, dei tre volumi, il primo, ci sembra il più riuscito. Gli altri due, benché sicuramente interessanti, in particolare il secondo, si occupano più degli scenari futuri, che di formulare concetti sociologici “weberianamente” utili per la ricerca operativa. Di qui la nostra utilizzazione “intensiva” del primo volume, euristicamente il più ricco dei tre.
[5] M. Castells, La nascita della società in rete, cit., p. 536.
[6] Ibid.
[7] Su questi aspetti rinviamo a K. Polanyi, (a cura di), Traffici e mercati negli antichi imperi.
Le economie nella storia e nella teoria ( 1957), Einaudi, Torino 1978, nonché G.G. Hamilton, Civilizations and the Organization of Economy, in N.J. Smelser and R. Swedberg, The Handobook of Economic Sociology, Princeton University Press - Russell Sage Foundation, Princeton-New York, 1994, pp. 183-205.
[8] Si vedano in argomento le interessanti, quanto classiche osservazioni, di C. Schmitt, Appropriazione/Divisione/Produzione (1953), in Idem, Le categorie del’ politico’, saggi di teoria politica a cura di G. Miglio e P. Schiera, il Mulino, Bologna 1988, pp. 295-312.
[9] Etica Nicomachea, 1133a 30 ( Opere, vol. 7, trad. di A. Plebe, Editori Laterza, Roma-Bari, 1981, p. 120),
[10] Per una buona sintesi si veda T. Pekáry, Storia economica del mondo antico (1979), il Mulino, Bologna 2003.
[11] Sul ruolo della moneta nell’economia medievale si veda il classico H. Pirenne, Storia economica e sociale del Medioevo (1933), Garzanti, Milano 1975. Per le economie arcaiche resta fondamentale, perché paradigmatico, K. Polanyi, Il Dahomey e la tratta della schiavi. Analisi di un’economia arcaica(1966), Einaudi, Torino 1987. Per il mondo non occidentale si veda L. Dumont, Homo Hierarchicus.
Le Système des caste et ses implications (1966), Gallimard, Paris 1986, pp. 213-244.
[12] R. Mac Mullen, La corruzione e il declino di Roma (1988), il Mulino Bologna 1991, pp. 323-355.
[13] Su questa retorica è di qualche utilità è D. Fisichella, Denaro e democrazia. Dall’ antica Grecia all’economia globale, il Mulino, Bologna 2000, pp. 107-128.
[14] G. Simmel, Filosofia del denaro (1900), Utet, Torino 1984, in particolare il cap. VI, pp. 607-718 ; K. Polanyi, La sussistenza dell’uomo (1977), Einaudi, Torino 1983, in particolare pp. 111-164. Ma si veda, per il buon quadro sociologico riassuntivo delle varie posizioni, M.L. Maniscalco, Sociologia del denaro, Editori Laterza, Roma-Bari 2005 (con ricca bibliografia).

[15] Erano definiti “bullionisti” ( da bullion, lingua inglese, oro, argento in verghe) quei mercantilisti (secoli XVI-XVII) favorevoli alla non esportazione di monete e alle alterazioni del contenuto aureo. David Ricardo, dopo la pubblicazione de L’alto prezzo dell’oro (1810), venne definito bullionista, perché favorevole alla conversione delle monete in oro. Le banche avrebbero dovuto cambiare, se richiesto dai portatori, in “barre d’oro”, le banconote. Sul mercantilismo e anche sulle origini del “bullionismo” si rinvia alla classica opera di E.F. Heckscher, Il mercantilismo [1931], trad. it. parziale, in Storia economica, a cura di G. Luzzatto, in Storia economica, Utet, Torino 1936 (“Nuova Collana di Economisti italiani e stranieri”), vol. III, pp. 345- 729.

[16] Per approfondire il rapporto tra politico ed economico ci permettiamo di rinviare a C. Gambescia (a cura di), Che cos’è il Politico? Nuove ipotesi e prospettive teoriche, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2006 (saggi di L.Arcella, C. Bonvecchio, T. Klitsche de la Grange, C. Polin, C. Preve, A. Segatori).
[17] Sull’intero processo, che inizia alla fine del medioevo, e al quale in questa sede possiamo solo accennare, resta ancora oggi utile, W. Sombart, Il capitalismo moderno (1902-1928), Utet, Torino 1967 (trad. it. parziale). Opera che va integrata con Niall Ferguson, Soldi e potere nel Mondo Moderno 1700-2000 (2001), Ponte alle Grazie, Firenze 2001. Testo utile perché evidenzia, pur sopravvalutandolo, il ruolo (a nostro avviso residuale) della politica moderna nei riguardi della formazione delle grandi fortune finanziarie ed economiche. Va pure segnalato l’ importante testo di un economista oggi dimenticato: Giuseppe Palomba, L’espansione capitalistica, Utet, Torino 1973. Reiventa Sombart, sulla base di personalissime e brillanti intuizioni.
[18] W. Sombart, op. cit., p. 175.
[19] Sugli aspetti metapolitici dell’intero processo, che ha matrici europee, si veda C. Bonvecchio, Europa degli eroi Europa dei mercanti. Itinerari di ribellione, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2003.
[20] M.Castells, L’età dell’informazione , cit. pp. 543-544. Il corsivo è nostro.
[21] Sulle “carte” o “monete elettroniche” ci permettiamo di rinviare al nostro Il migliore dei mondi possibili. Il mito della società dei consumi, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2005, pp. 69-73.
[22] Del resto i padri nobili del cosiddetto neoliberismo attuale , si pensi ad esempio, a Carl Menger, e nel Novecento, a Ludwig von Mises, e benché si debba prendere atto di alcune diversità concettuali fra scuola austriaca e scuola neoclassica (cfr. J.Huerta de Soto, La Scuola Austrica. Mercato e ceatività imprenditoriale, Rubbettino, Soveria Mannell 2003, in particolare lo schema riassuntivo delle differenze, pp. 19-21; dove si parla addirittura di "paradigmi" diversi), hanno sempre ricondotto le origini della moneta a cause di ordine individualistico-commutativo: mercato, denaro e necessità atomistiche sono visti in simbiosi. E, per giunta, la moneta, interpretata come unico medium tra soggetti isolati, ostili, ma vocati allo scambio, è stata così ancorata al presunto bisogno di “catallassi” dell’uomo (dal greco katallassein, scambiare). Il problema attuale è che con il denaro-rete si sta andando ben oltre la “catallassi”. Dal momento che oltre al denaro in senso fisico, rischia di scomparire , risucchiato dai flussi elettronici di denaro, anche l’uomo, e con esso la vita di relazione, compreso lo stesso gusto dello scambio, del calcolo e della stessa richiesta, tipicamente liberale, di equità privata. Che è stata sempre più delegata a “macchine informazionali”, che accumulano dati, anche privati, su tutto e tutti: sorvegliando e punendo, per dirla con Foucault. Su questi aspetti si veda A.J. Haesler, Sociologie de l’argent et postmodernité, Librarie Droz, Genève-Paris 1995. Uno dei migliori testi in argomento. Haesler parla, e giustamente, del crescente declino di ogni forma di socialità, provocato anche dal denaro informatizzato, quale pericoloso veicolo di una disumanizzata società informazionale.
[23] Ma si pensi pure al cosiddetto mercato dei derivati, dove in una frazione secondo si possono immettere flussi stratosferici dei denaro, versando il cosiddetto “margine”, cioè una frazione minima dell’intero valore del contratto. E così, grazie a banche compiacenti, si riesce ad amplificare enormemente l’entità dei contratti, e dunque le cifre di denaro, che si possono mettere in gioco, con un semplice computer portatile. Su questi aspetti cfr. G. Vitangeli, Dove va la finanza?, a cura di L. Tedeschi, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2007, pp. 91-92 in particolare.
[24] Cfr. C. Gambescia, op. cit., pp. 53-73.
[25] M. Castells, op. cit. p. 536.
[26] Ibid.
[27] Ibid.
[28] Sugli aspetti politologici della questione, la migliore trattazione scientifica resta quella di S. Strange, Chi governa l’economia mondiale? (1996). Il Mulino, Bologna 1998. Di lei si veda anche Denaro impazzito. I mercati finanziari: presente e futuro (1998), Edizioni di Comunità, Milano 1999.
[29] Si veda J. Chevalier e A. Gheerbrant, op. cit. , p. 286.
[30] G. Osti, Nuovi asceti. Consumatori, imprese e istituzioni di fronte alla crisi ambientale, il Mulino, Bologna 2006, p. 253. 

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