Bullismo e consumismo
Il bullismo è purtroppo tornato sulle prime pagine. Di qui un vero un fiume di sondaggi, ricerche, pareri, che pur cercando giustamente di prendere le misure al fenomeno spesso tendono a scaricare sulla società ogni colpa. Non sempre però.
Di recente, Maria Paola Graziani, psicologa del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha dichiarato che gli episodi di violenza collettiva di queste settimane richiedono sicuramente una lettura più ampia “che consideri più fattori: oltre l'aspetto antropologico e sociale del fenomeno (povertà, emarginazione, bassa scolarizzazione, assenza o carenza di modelli genitoriali adeguati), anche quello psicologico, emotivo e conoscitivo”. Viene perciò chiamato in causa proprio quell’atteggiamento “sicuro e spavaldo” che è dietro molte aggressioni, ma che in realtà rivela certa “fragilità di fondo del carattere” o “instabilità interiore”, frutto di un bisogno identitario, cui la società presente non risponde. E che si cerca di nascondere, soprattutto quando si sia tra i dodici e i diciotto anni, con la spavalderia e la violenza di gruppo ai danni dei più deboli (http://www.encanta.it/attualita194.html ).
Insomma, dietro ogni violenza si cela un grido di aiuto, anche da parte di chi la commetta.
Finalmente una chiave interpretativa interessante. Soprattutto se si pensa al rapporto tra consumi e società. E al ruolo che i consumi svolgono come forma di identità sostitutiva. Tradotto: si rischia di essere quel che si consuma. E magari di esserlo in modo più spinto in ragione dell’età decrescente. In un adolescente di tredici-quattordici anni si è esattamente quello che si consuma “al momento”: quel film, quella felpa firmata, eccetera. E ci si raggruppa e divide intorno a un modello di consumi mediatizzati che muta velocemente. Il che spiega quella mancanza di identità stabile, persino dopo la fine dell’adolescenza, che secondo alcuni studiosi si sarebbe addirittura dilatata fin quasi ai trent’anni. E che dunque rischia di segnare per sempre l’esistenza
I “famosi bamboccioni” di trentacinque anni, se ci si passa la battuta, sono il frutto, fin troppo maturo di una società dove i giovani non passano più attraverso alcune fasi prestabilite: fanciullezza, adolescenza, giovinezza, e infine prima maturità.
Di riflesso, quella ricerca di identità, che in alcuni contesti - e qui rientra in gioco la società - culturalmente e socialmente deprivati sfocia prima in atteggiamenti bullistici e poi antisociali. Con il rischio che la violenza da micro (diretta verso coetanei) si trasformi macro, rivolgendosi verso la società tout court ( come nel caso della violenza giovanile negli stadi).
Ovviamente la responsabilità non è della società dei consumi in quanto tale, ma di un certo modo sostitutivo di intendere il consumo, soprattutto quando in una famiglia non ci sono altri valori da cui attingere come fonte di identità. E qui probabilmente la responsabilità è degli adulti. Più consumatori degli stessi figli. Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia
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