Disastri ambientali
Un pizzico in più
di responsabilità, no?
Sulla questione del cambiamento climatico, al di là dei
catastrofismi televisivi, più o meno di maniera, nessuno sembra interrogarsi
seriamente sulle possibili conseguenze del fenomeno. Il problema è grave,
perché gli eventuali riflessi sociali andrebbero divisi in due categorie:
quelli prodotti dalla trasformazione del clima, e quelli causati
dall’intervento dell’uomo, in condizioni di grave emergenza, per porvi riparo.
Ma andiamo per ordine.
Intanto, va detto che sulle conseguenze ambientali del mutamento climatico si sono già abbastanza diffusi i media: elevamento della temperatura, desertificazione, sollevamento del livello del mare, eccetera. Questi mutamenti - e veniamo al punto - provocherebbero innanzitutto una serie di conseguenze sociali dirette: spostamenti di popolazione, stravolgimento della localizzazione economica, sviluppo e diffusione di nuove patologie, e perfino epidemie. Si tratta di fenomeni che andrebbero a distribuirsi temporalmente nell’arco dei prossimi trenta-cinquant’anni, così almeno sostengono gli esperti. Il che significa che nell’arco di un paio di generazioni il nostro sistema di vita potrebbe cambiare radicalmente. E in peggio.
Inoltre, alle conseguenze sociali dirette, andrebbero ad aggiungersi, intersecandosi con le prime, le conseguenze sociali indirette, prodotte, attenzione, dall’intervento dell’uomo in risposta, ad esempio, agli spostamenti di popolazione, al grave peggioramento della situazione economica negativa e alla diffusione di pericolose patologie tropicali.
Il nocciolo del problema, che di solito non viene affrontato, neppure dagli esperti in tematiche ambientali, è che, quanto più si ritarda a intervenire, tanto più si rischia di incorrere in due fenomeni. Vediamo quali.
In primo luogo, la sociologia c’insegna che le cosiddette catastrofi sociali (guerre, rivoluzioni, epidemie, disastri naturali) provocano una centralizzazione del potere sociale, e la conseguente riduzione delle libertà individuali. Si pensi a quel che accade durante una guerra: militarizzazione del potere politico, economico e perfino culturale (attraverso l’introduzione di una censura sempre più rigida…). Perciò nella “guerra” contro l’improvviso e rapido peggioramento delle condizioni ambientali si riprodurrebbe un fenomeno del genere. Si pensi solo alla gestione politica di un esodo verso l’interno delle popolazioni rivierasche . E alla conseguente sistemazione (in tutti in sensi: abitativa, sociale, economica) delle medesime Oppure, alla diffusione di epidemie con centinaia di migliaia di malati da isolare e di morti ai quali dare sepoltura. Non stiamo facendo, a nostra volta, del catastrofismo, ma semplicemente segnalando quel che capita ai gruppi sociali nelle situazioni di grave pericolo.
In secondo luogo, alla centralizzazione si affianca la polarizzazione dei rapporti sociali. Nelle situazioni di emergenza, il gruppo sociale tende a scindersi in tre sottogruppi: da un parte una minoranza che dà il meglio di sé (si pensi agli episodi di abnegazione, in occasione di una calamità naturale); dall’altra, una minoranza, che invece dà il peggio di sé (si pensi ai saccheggi e altri atti criminosi….). Nel mezzo, resta invece la maggioranza della popolazione, che in qualche modo, senza eccedere, cerca di reagire al pericolo. E, ovviamente, la situazione rischia di andare incontro a derive sociali ancor più pericolose, quando, come è accaduto ed accade, le minoranze antisociali, si organizzano e prendono il potere. La polarizzazione rinvia alla centralizzazione e viceversa. Non c’è scampo. E si tratta di due “costanti” che ritroviamo, come dire, nelle situazioni “al limite”, in cui viene messa dura prova la capacità di reagire dell’uomo.
Ora, se dal punto di vista sociologico, la situazione che ci aspetta è questa, perché non intervenire per tempo, con provvedimenti graduali, e tutto sommato democratici, in grado di impedire che la catastrofe ambientale, incipiente, possa in un futuro, abbastanza vicino, trasformarsi in una catastrofe sociale, segnata da involuzioni autoritarie e antisociali?
Ma andiamo per ordine.
Intanto, va detto che sulle conseguenze ambientali del mutamento climatico si sono già abbastanza diffusi i media: elevamento della temperatura, desertificazione, sollevamento del livello del mare, eccetera. Questi mutamenti - e veniamo al punto - provocherebbero innanzitutto una serie di conseguenze sociali dirette: spostamenti di popolazione, stravolgimento della localizzazione economica, sviluppo e diffusione di nuove patologie, e perfino epidemie. Si tratta di fenomeni che andrebbero a distribuirsi temporalmente nell’arco dei prossimi trenta-cinquant’anni, così almeno sostengono gli esperti. Il che significa che nell’arco di un paio di generazioni il nostro sistema di vita potrebbe cambiare radicalmente. E in peggio.
Inoltre, alle conseguenze sociali dirette, andrebbero ad aggiungersi, intersecandosi con le prime, le conseguenze sociali indirette, prodotte, attenzione, dall’intervento dell’uomo in risposta, ad esempio, agli spostamenti di popolazione, al grave peggioramento della situazione economica negativa e alla diffusione di pericolose patologie tropicali.
Il nocciolo del problema, che di solito non viene affrontato, neppure dagli esperti in tematiche ambientali, è che, quanto più si ritarda a intervenire, tanto più si rischia di incorrere in due fenomeni. Vediamo quali.
In primo luogo, la sociologia c’insegna che le cosiddette catastrofi sociali (guerre, rivoluzioni, epidemie, disastri naturali) provocano una centralizzazione del potere sociale, e la conseguente riduzione delle libertà individuali. Si pensi a quel che accade durante una guerra: militarizzazione del potere politico, economico e perfino culturale (attraverso l’introduzione di una censura sempre più rigida…). Perciò nella “guerra” contro l’improvviso e rapido peggioramento delle condizioni ambientali si riprodurrebbe un fenomeno del genere. Si pensi solo alla gestione politica di un esodo verso l’interno delle popolazioni rivierasche . E alla conseguente sistemazione (in tutti in sensi: abitativa, sociale, economica) delle medesime Oppure, alla diffusione di epidemie con centinaia di migliaia di malati da isolare e di morti ai quali dare sepoltura. Non stiamo facendo, a nostra volta, del catastrofismo, ma semplicemente segnalando quel che capita ai gruppi sociali nelle situazioni di grave pericolo.
In secondo luogo, alla centralizzazione si affianca la polarizzazione dei rapporti sociali. Nelle situazioni di emergenza, il gruppo sociale tende a scindersi in tre sottogruppi: da un parte una minoranza che dà il meglio di sé (si pensi agli episodi di abnegazione, in occasione di una calamità naturale); dall’altra, una minoranza, che invece dà il peggio di sé (si pensi ai saccheggi e altri atti criminosi….). Nel mezzo, resta invece la maggioranza della popolazione, che in qualche modo, senza eccedere, cerca di reagire al pericolo. E, ovviamente, la situazione rischia di andare incontro a derive sociali ancor più pericolose, quando, come è accaduto ed accade, le minoranze antisociali, si organizzano e prendono il potere. La polarizzazione rinvia alla centralizzazione e viceversa. Non c’è scampo. E si tratta di due “costanti” che ritroviamo, come dire, nelle situazioni “al limite”, in cui viene messa dura prova la capacità di reagire dell’uomo.
Ora, se dal punto di vista sociologico, la situazione che ci aspetta è questa, perché non intervenire per tempo, con provvedimenti graduali, e tutto sommato democratici, in grado di impedire che la catastrofe ambientale, incipiente, possa in un futuro, abbastanza vicino, trasformarsi in una catastrofe sociale, segnata da involuzioni autoritarie e antisociali?
Carlo Gambescia
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